A Firenze durante gli anni ’80, Paolo Cesaretti è stato l’artefice di una fanzine e di una etichetta discografica indipendente di culto. Lavorando con passione riuscì a dare notorietà a gruppi musicali underground, estendendo l’esperienza alla produzione di compilation e di dischi, sia di musicisti italiani che stranieri. Alcuni di questi gruppi divennero famosi come i Litfiba, altri un pò meno e i rimanenti rimasero noti a pochi appassionati. La fanzine era Free e l’etichetta era IDL Industrie Disocgrafiche Lacerba. Una della produzione curate da Paolo fu l’album di canzoni di Luigi Tenco reinterpretate da Steven Brown, musicista statunitense, colto e curioso nonché leader dei Tuxedomoon. Questo mini LP fu per me un ponte straordinario per arrivare al musicista genovese, così ho creduto di rivolgere qualche domanda a Paolo a riguardo di “Brown Plays Tenco”.
Al tempo Luigi Tenco non era così noto come forse lo è oggi, come nacque l’idea di dedicargli un disco?
In realtà, la memoria di Tenco era viva ma forse confinata alla generazione dei nostri genitori. Tra l’altro era il ricordo di un personaggio scomodo, antitetico nell’ Italia del boom economico, dell’evasione e della leggerezza, caratterizzato da un costante amaro esistenzialismo. Forse “Brown Plays Tenco”, nel suo essere un legame fra tempi e geografie distanti, segna il passaggio del testimone.
Il progetto nacque da un’idea di Steven. Nella prima metà degli anni ottanta i Tuxedomoon hanno molto lavorato e suonato in Italia, e i membri del gruppo hanno sempre nutrito sincera curiosità e desiderio di mimesi verso le culture di cui sono stati ospiti. Quando Steven chiese ad un amico di fargli ascoltare artisti italiani interessanti, Tenco lo colpì per il suo essere poco melodico in senso tradizionale, per la modernità della sua scrittura musicale, per le tematiche espresse dai testi e, non ultimo, per la vicenda umana dell’artista.
Perchè pensasti a Steven Brown dei Tuxedomoon?
Il rapporto con Steven si era consolidato fin da qualche anno prima, con la produzione di Lazare dei Minox. Eravamo divenuti un po’ la sua “famiglia” italiana, forse non l’unica ma probabilmente la più affezionata. Quando Steven iniziò a giocherellare con l’idea di questo progetto, fu chiaro che sarebbe stato un progetto IDL. Io ne fui entusiasta da subito, per vari motivi. Mi piaceva molto l’idea di creare un legame con la musica italiana d’autore, e ancor di più di farlo con un artista straniero, così come accadeva proprio negli anni in cui è vissuto Tenco, anni in cui il nostro paese era attraversato da artisti stranieri che cantavano nella nostra lingua. Inoltre il mondo musicale indipendente italiano era allora veramente isolato rispetto alle varie scene internazionali. Soffrivamo moltissimo di provincialismo nella voglia di “somigliare a”. Con IDL abbiamo sempre coltivato la naturale ambizione di porci al di fuori dei circuiti locali e di considerare più ampio il nostro campo d’azione. “Brown Plays Tenco” calzava quindi perfettamente in questa idea. Tra l’altro nelle nostre intenzioni sarebbe stata la prima uscita di IDL Classics, una collana che invitava artisti contemporanei a cimentarsi con repertori passati. Erano già previste altre uscite tra cui Tot Taylor Plays Burt Bacharach. Non si può dire che non fossimo in anticipo con i tempi.
Leggendo le note che accompagnano l’album, Steven Brown da una motivazione di gusto un po’ malinconico sul perché restò colpito dalle canzone di Tenco.
Assolutamente si, Steven è un artista dotato di grande spleen.
La scelta delle canzoni fu di Steven Brown o tua?
Una scelta condivisa, a parte “Ciao Amore, Ciao” che personalmente non mi ha mai molto convinto.
Una cosa che mi colpì al tempo fu l’accento “americano” di Brown con cui cantò le canzoni, che trovo tutt’ora suggestivo.
Si, l’interpretazione vocale di Steven è forse una delle note più interessanti dell’album. E, grazie anche al suo accento, comunica in maniera molto emozionante il mondo di Tenco. Con il disco ancora in lavorazione, facemmo ascoltare dei mix provvisori a Vincenzo Micocci nella speranza di ottenere una distribuzione major. Micocci, scopritore di tanti grandi artisti italiani (è il Vincenzo della nota canzone di Alberto Fortis), rimase profondamente colpito dall’interpretazione di Steven e ipotizzò addirittura una collaborazione con De Gregori, proprio per l’impasto vocale che si sarebbe potuto ottenere. Ovviamente non giungemmo nè alla distribuzione major nè, tantomeno, alla collaborazione con De Gregori.
L’intero packaging dell’album è fatto con un certo stile, che richiama l’atmosfera di San Remo ma con una certa eleganza.
Il progetto grafico riassumeva il concetto della collana IDL Classics, artisti indipendenti e contemporanei che si confrontavano con repertori del passato. L’aspetto visuale delle nostre produzioni è sempre stata un’ossessione, con tutto il peso che un’ossessione può avere. Non sopportavamo dischi con copertine sciatte o poco comunicative. Il tema era quello di comunicare una visione estetica coerente e inclusiva, uno stile di vita come purtroppo si direbbe oggi.
I musicisti che suonarono con Steven Brown furono i Minox, perché proprio loro e non i Tuxedomoon?
I brani vennero registrati in Italia, post-prodotti e mixati a Bruxelles. E’ un disco a cui hanno lavorato moltissime persone sia di Minox che dell’entourage dei TM. Il nucleo base del progetto era comunque composto oltre che da Steven da Daniele Biagini, Gabriele Gai e Nikolas Klau. Prima durante e dopo il disco organizzammo alcune tourneè, con varie formazioni spaziando dal duo al quintetto. Un certo numero di brani tratti da questi concerti sono stati pubblicati attraverso LTM nel 2008 sul cd BPT Studio and Live. Personalmente trovo molto belle le versioni per piano e sax registrate a MilanoPoesia con Daniele Biagini al piano, e una tuxedomooniana intensissima “Egypt” registrata in quintetto al Festival delle Colline di Firenze.
All’epoca l’album fu apprezzato e capito secondo te?
Le session di registrazione e missaggio si protrassero per alcuni mesi e nel frattempo, fra concerti, articoli sui giornali e apparizioni in tv, si creò una grande aspettativa. Il disco pre-vendette più di 4.000 copie, un risultato sorprendente per una produzione indipendente italiana che all’estero fu considerata poco più di una oddity. Con il supporto di una distribuzione ufficiale avremmo potuto fare di più, e forse avremmo avuto anche le risorse per poter curare meglio la produzione. La tourneè successiva all’uscita del disco fu comunque un grande successo e “Brown Plays Tenco” contribuì grandemente a consolidare il legame fra Steven e l’Italia e, come dicevamo prima, fra una generazione e Tenco.
Dopo anni sei ancora in contatto con SB?
Si, sporadicamente ma costantemente.
Se guarda il catalogo delle IDL (Industrie Discografiche Lacerba) è veramente un catalogo interessante e degno di nota, come mai ad un certo punto hai deciso di smettere? Sono venuti meno certe situazioni?
Ad un certo punto ho sentito che questa cosa, che tanto mi aveva emozionato e coinvolto nei cinque/sei anni che è durata, non mi apparteneva più. Si era trasformata in un lavoro, difficile e sottopagato. Ed è questo il valore che ancora oggi ha IDL, quello di un’esperienza che si è interrotta prima che le motivazioni artistiche che la guidavano si trasformassero in soluzioni a necessità quotidiane, mantenendo così intatta tutta la forza ideale che l’ha animata.
Riferimenti raccolti:
L’articolo pubblicato di Gino Castaldo del 3 Gennaio 1988 su Repubblica
La ristampa dell’album con inediti dal vivo dell’etichetta LTM Recordings
http://it.wikipedia.org/wiki/Luigi_Tenco
http://it.wikipedia.org/wiki/Tuxedomoon