“Tribù di Note” è il secondo album solo di Paolo Gianolio,
chitarrista e musicista dal curriculum impressionante, presentato a fine post.
In genere, lo scambio di battute con
il musicista acquiscente potrebbe essere esercizio noioso, non per me, ma per
chi deve affrontare quesiti a volte
banali, magari già ascoltati in altre occasioni, ma che a ben vedere risulteranno
determinanti per capire al meglio un artista, il suo percorso, il contesto in
cui ha vissuto e il suo pensiero oltre la musica.
Le considerazioni di Paolo mi
appaiono fondamentali per carpirne il mondo, la filosofia di vita, la visione
del sociale e, ovviamente, il reale contenuto del suo lavoro, nello specifico
il disco appena citato.
Ogni esperienza di vita, ogni
frammento di quotidiano si riversa nella musica, e quando a questa non si
accompagna una lirica, il compito di parlare spetta agli strumenti, alle
armonie accurate, alle trame, ad una sequenza di note posizionata in un certo
ordine, alla tecnica messa al servizio del gusto e della ricerca.
Le linee guida di “Tribù di Note” sono raccontate nel corso
dell’intervista direttamente da Gianolio, che presenta ad uno ad uno gli otto
episodi che hanno il compito di descrivere, e al contempo comparare, otto
differenti culture.
Diverse le cose che personalmente mi hanno affascinato.
Innanzitutto la fase creativa, una
miscela composta da ispirazione istintiva e concentrazione che può portare alla
trasformazione di un’immagine in suoni e successive emozioni. Guardare un
quadro, pensare ad un attimo di vita o, come in questo caso, fare propria
l’idea di un popolo, e poi riscrivere il tutto con l’aiuto di uno o più
strumenti, credo sia l’essenza vitale a cui tutti, indistintamente, vorrebbero
arrivare.
Esiste poi un aspetto, a mio giudizio
molto complicato, che è quello del rendere il proprio lavoro accessibile a
chiunque. Esprimo sempre il seguente concetto, che è quello che ogni essere
umano, in fase di “onesta” creazione, lavori spinto da bisogni personali. Il
passo successivo è la condivisione, la necessità di venire allo scoperto e la
speranza di una sorta di interattività. Quando si parla di virtuosi dello
strumento e di musica obbligatoriamente di nicchia la sfida diventa … riuscire
ad essere “leggibili” dal mondo intero, senza distinzione alcuna, e in questo
caso il mio pensiero è riferito alla
sola sfera artistica.
Paolo Gianolio trova con semplicità (apparente?)la
via della globalizzazione dell’ascolto, e anche se il termine non è tra i più
amati, in questo caso significa essere capaci di toccare il cuore - e la mente-
di chi non nasce con la chitarra in mano e probabilmente anche di chi è un
occasionale fruitore di musica.
Facile cadere nel tecnicismo
esasperato, nell’esibizione ad effetto (che in fase live ha sempre la sua buona
valenza). Molto meno facile invece –ed è questo a mio giudizio il più grande
successo di Gianolio- è utilizzare un importante know how, frutto del lavoro di
lustri, per parlare alla gente, utilizzando un linguaggio che, seppur
universale, diventa spesso "per pochi", quando non esiste un testo di appoggio, o quando non si ha l'umiltà di livellarsi all'ascoltatore medio.
Ma esiste anche una certa propensione
alla didattica, al far apparire raggiungibile ogni tipo di traguardo-se c’è
passione vera- dando suggerimenti, attraverso l’esempio, di cosa una chitarra,
ma vale in genere per ogni strumento, possa esprimere se “trattata” come
un’amante, da un amante … e a quel punto tutto appare possibile!
Paolo analizza a seguire le sue otto
tracce, ma vorrei sceglierne una che penso possa esemplificare le mie
argomentazioni sulla sua musica.
Abraxas è un brano di assoluta atmosfera, capace di smuovere e stimolare
reazioni interne, sentimenti forse di tipo differente, ma sollecitati da uno
“spillo” che induce a sicura reazione.
Ascoltiamolo...
La musica… meglio di mille parole e
collocazioni in caselle prestabilite.
Jazz, classico, acustico, pop, le
esperienze di una vita messe al servizio di chi possiede la giusta sensibilità …
una vera fortuna incrociare Paolo Gianolio.
Negli anni 60 e 70 si è sviluppata gran parte della musica rhythm & blues, pop e soprattutto rock, generi basati sulla chitarra che era uno strumento che permetteva di risuonare a “orecchio” brani dei Rolling e dei Beatles o di James Brown seguendo il proprio istinto. L’ispirazione arrivava dalla vita che allora era molto intensa e piena di opportunità, tra le quali imparare ascoltando, e in seguito, studiando su questa musica, una semplice attrazione si è piano piano trasformata in una vera e propria passione: ai primi rudimenti che si imparano con gli amici sono seguiti i primi accordi che mi hanno aperto la strada del mondo-chitarra, strumento che non avrei più lasciato, diventando anche “mezzo professionale” (allora mio padre, violinista mancato, avrebbe preferito per me qualche titolo di studio in più ma poi col tempo si è ricreduto e oggi è trova giusto ciò che ho fatto). Poi arrivarono gli studi seri e l’ascolto si è allargato a musica nuova per me, il jazz. Dalla chitarra elettrica del geniale Charlie Christian all’affascinante fraseggio Gipsy di Django Reinhard, dallo “swing” di Wes Montgomery che faceva ballare le sedie, all’anima di Jim Hall, dal modernissimo Pat Martino a John Abercrombie, ma anche Charlie Parker, John Coltrane, Miles Davis, Charlie Mingus, Gil Evans solo per citarne alcuni. La chitarra è uno strumento che dà molto, ma richiede moltissimo impegno con studi giornalieri di tecnica pura e un grande uso della propria personalità e immaginazione, tenendo conto della direzione dell’evoluzione che dipende dal gusto personale, ed è per questo che, ad un certo punto, anche lo strumento dovrebbe essere costruito ad hoc, e qui, nel mio caso, è intervenuta la Walden che mi ha costruito una bellissima chitarra acustica “signature”, assecondando tutte le mie richieste.
Tra i tanti musicisti che possono aver segnato la tua vita, ne esiste uno che ha rappresentato e magari ancora rappresenta una linea guida, un esempio da seguire?
Lo strumentista che più mi ha segnato credo - dico credo perché ne esistono tanti- sia Django Reinhard, per la sua travolgente passionalità e personalità che lo ha trasformato in un grande con il suo fraseggio all’avanguardia per i suoi tempi e, soprattutto, per la volontà di trasformare il suo dolore, dovuto alla disgrazia che lo colpì, in gioia di suonare. Un altro musicista che è entrato nella mia vita è Gil Evans, arrangiatore sopraffino e sofisticato che ha avuto il merito di allargare le sonorità orchestrali delle big band usando in modo ardito soluzioni armoniche che ancor oggi mi colpiscono. Ma direi che nel corso della mia vita sono molteplici i musicisti che mi hanno segnato, ognuno dei quali mi ha dato l’opportunità di allargare il mio ingegno che ho poi trasformato in impegno.
Quando ero molto giovane era di moda compilare anno per anno le classifiche dei musicisti migliori. Le discussioni da bar di noi adolescenti immaturi vertevano su tecnica, gusto e timbrica, e ognuno parteggiava per il suo mito. Che caratteristiche deve avere, secondo te, il grande chitarrista? Quando hai realizzato di aver fatto un importante salto di qualità?
Sono dell’opinione che esistano grandi musicisti ognuno con le sue caratteristiche; per quanto riguarda la chitarra potrei elencarti, come accenni nella domanda e a mio gusto personale, lo strumentista più tecnico o quello che ha più gusto, ma per me il grande chitarrista deve avere cuore e passione e con la propria personalità deve saper esternare e forgiare, tramite lo strumento, il suo gusto. In definitiva è la mano del musicista che fa il suono dello strumento e credo che la sua caratteristica sia poi valorizzata, man mano che ne acquisisce coscienza, dall’evoluzione del suo carattere e dal bagaglio musicale. Il salto di qualità non rientra nel programma di studio che un musicista intraprende, non credo si possa decidere quando farlo, ma per rispondere alla tua domanda dico che quando ti ritrovi a suonare con musicisti di grosso calibro allora realizzi quantomeno che sei apprezzato.
Le tue collaborazioni sono importanti ma… esiste qualche rammarico per un treno passato e mai preso per eccesso di cautela?
No, nessun rammarico, certo se esistesse il treno della sapienza e della conoscenza, prenoterei subito un posto! La mia vita nel campo della musica è stata da me scelta con istinto e passione, due caratteristiche che sono poi state, e sono tuttora, le mie guide spirituali. Nei primi anni del mio percorso musicale ho avuto il privilegio di svezzarmi con la famosa “gavetta”, facendo ballare la gente (allora non esistevano discoteche), e le orchestre lavoravano 4 o 5 giorni alla settimana tutto l’anno, con un repertorio che andava dal Valzer al R&B, dalla canzone italiana a quella americana, insomma un grande apprendistato che riaffiora sempre nel tempo, e che mi da molta sicurezza. Un rammarico l’avrei … avrei voluto imparare a suonare la chitarra! ( eh eh eh ). Col tempo e con gli anni la vita diventa più filosofica e studiare filosofia significa prendere coscienza del “poco che si sa”, in relazione all’assoluto, e quindi, facendo un’attenta riflessione, ho dedotto che non basterebbero due vite per imparare a suonare come dio comanda. Io ci provo.
Mi racconti un aneddoto significativo, positivo o negativo, legato alla tua vita musicale?
Un giorno, preso dalla disperazione per non comprendere i risultati dello studio assiduo che stavo facendo, decisi, per portare a casa la “pagnotta”, di cambiar mestiere e andai a lavorare prima come elettricista, poi come meccanico in seguito come libraio. E’ allora, dopo qualche tempo, che mi sono reso conto dell’importanza dello studio che avevo intrapreso, nel senso che era quello che serviva per il futuro. Ecco perché si dice che non si finisce mai di studiare, perché quello che studi nel presente ti sarà utile solo nel futuro.
Che cosa significa realizzare un album proprio? Può essere assimilabile alla necessità di effettuare un bilancio di spezzoni di vita, come per chi scrive un libro, ad esempio?
La soddisfazione di poter far arrivare lontano il proprio pensiero, per questo cerco di impressionare i nastri magnetici con le mie note. Certo, è anche raccontare la propria vita tramite i sentimenti e i sogni, inventando storie che facciano sognare, e credo che questo sia un grande privilegio; credo altrettanto che sia la musica che chiama nel momento tu sia predisposto ad ascoltarla.
”Tribù di Note” è un album strumentale, ma immagino esista un filo conduttore che lega gli otto brani che lo compongono. Si può considerare un “concept”? Mi puoi descrivere “il cuore” di questo tuo lavoro?
Tribù di Note nasce ispirato dalle diverse etnie del mondo, otto racconti a sostegno di tribù, nel senso di culture diverse. Non amo molto la così detta globalizzazione che tende a non far pensare, sono affascinato invece delle differenti culture etniche che hanno creato il mondo in cui viviamo e che permettono di avere confronti costruttivi per potersi evolvere. Da qui l’ispirazione dei brani contenuti nell’album. Archimede come scienza e conoscenza o come ironia del fumetto di Walt Disney, Aura immaginata come energia pura che scaturisce dalla coscienza, Manusinti come la cultura zingara, Abraxas è la mediazione tra dei e umanità, tra il bene e il male, l’alternativa al tutto. Calypso è l’amore per la danza, arte figurata che valorizza la musica, Tribù di Note è il desiderio di intermediazione tra le culture e ricavarne beneficio per l’universo mondo. Ochethi Sakowin è una vera tribù di indiani d’America che simboleggia la saggezza di quei popoli spazzati via da stupidi potenti. Chiude l’album Pangea che è l’inizio delle culture, cioè da quando l’uomo ha cominciato a pensare. Espressione musicale vuol dire combattere per affermare il proprio pensiero io cerco di farlo abbinando un concetto di vita a un racconto di fantasia.
Come è nata la collaborazione con la Videoradio di Beppe Aleo?
Con la cosa che funziona da sempre al mondo, il tam-tam che esiste dall’era primordiale. Insomma, tramite un musicista che lo conosceva e che mi ha consigliato di rivolgermi a lui. E devo dire che mi ha fatto molto piacere conoscerlo perché è persona capace, precisa e educata (beh… al giorno d’oggi è già molto!). Dopo essermi informato curiosando nel suo sito, ho deciso di rivolgermi a lui per il mio nuovo album, e devo dire che l’incontro ad Alessandria, dove Beppe vive e lavora, è stato molto stimolante; direi che ci siamo trovati sulla stessa frequenza da subito. Poi mi ha fatto piacere appurare che il catalogo della Videoradio è in buona parte dedicato a miei colleghi.
Mi dai una tua visione generale dell’attuale business legato al mondo della musica?
Già la parola business non va d’accordo con la musica intesa come arte, anche se oggi è entrata a farne parte; l’arte e l’ingegno sono preziosi per gli artisti e dovrebbero essere stimolati, non comprati o “scaricati” trasformando qualsiasi opera a un trofeo o a un soprammobile. Io credo che nell’evoluzione della musica, pop in primis, si sia arrivati a un punto fermo, e le priorità dovrebbero essere a favore del nuovo. Una cosa importante sarebbe avere una base culturale musicale più evoluta quindi più scuole di musica, posti costruiti per la musica, scambi culturali e soprattutto serietà nell’insegnamento e nell’apprendimento, insomma, più stimoli per quest’arte impoverita dal suo consumo sfrenato. Altra cosa è attendere che succeda qualcosa… il motto delle case discografiche “non investo nulla se non succede nulla…”; ciò è disarmante per il povero musicante, che ha talento, ma deve aspettare magari vent’anni per potersi esprimere solo perché la sua opera non è stata capita o ancor peggio ascoltata. Io mi definisco contadino della musica perché per raccogliere bisogna seminare e mi pare che in questo momento siamo in netta controtendenza. I talenti ci sono, la voglia di farsi sentire c’è, diamo spazio al valore e non allo stupore. Ovviamente i tempi cambiano, la storia cambia e spero cambierà anche il futuro a favore delle anime che si vogliono distinguere, e questo potrà avvenire solo se cambierà la cultura e il “business” tornerà al suo posto come traino per l’ingegno musicale.
Esiste un chitarrista attuale, o comunque un musicista, che ti ha sorpreso, che è stato per te una rivelazione?
Ribadisco che per me esiste la musica in generale. Certo ci sono musicisti che mi hanno influenzato e stupito più di altri, ma io seguo il mio istinto che mi sussurra e mi guida all’ascolto di quello che colpisce la mia sensibilità, e questo non dipende da chi ma da cosa ascolto; ed ecco che riuscire a captare l’umore di una performance di un musicista, stupirsi per un inaspettato contrappunto anziché una sonorità dissonante, cogliere il messaggio di un assolo, muovere il piede a tempo per un impulso irrefrenabile, tutto ciò diventa un privilegio un valore e tutto questo fa parte della musica e di ogni strumentista. Io amo l’umore di un musicista non lo stupore.
Apri il libro dei desideri. Cosa trovi alla voce “da realizzarsi assolutamente entro il 2015”?
Ho in mente molte cose da realizzare, ma in effetti ci sarebbe un desiderio in particolare, un disco in quartetto con i musici miei preferiti: Gavin Harrison, John Giblin, Danilo Rea e… Paolo Gianolio che arrangia, con interventi orchestrali e alcuni ospiti. Non so se riuscirò a realizzarlo ma ci proverò. Poi il sogno che gli uomini, prima di perdersi completamente, si accorgano del valore della natura che fin qui li ha guidati, rendendosi conto che in futuro non la si dovrà combattere, ma convivere con lei, ascoltando i messaggi che a tutti manda. Mi congedo aspettando che la natura e la musica mi chiamino.
http://www.paologianolio.com/
Biografia tratta dal comunicato stampa. Paolo Gianolio, musicista, nasce negli anni 60 ascoltando la musica dei Beatles e dei Rolling Stones. Comincia con una chitarra regalatagli da uno zio, la “strimpella” finché capisce che quello sarà il suo strumento. Da lì ad Hendrix il passo è breve e studia “a orecchio” i suoi soli come quelli di Santana e dei Led Zeppelin che segneranno la sua vita musicale. In seguito la sua sete di musica lo porta a Django Reinhardt e Charlie Christian. La approfondisce frequentando corsi professionali come la “Scuola Jazz di Parma” negli anni 70” dove, con il grande chitarrista/insegnante Filippo Daccò, impara raffinate tecniche di armonia applicata allo strumento. Contemporaneamente frequenta la scuola di “Nino Donzelli di Cremona” che, con la didattica basata sul metodo Barkley, gli apre l’universo della armonia moderna e dell’orchestrazione per banda. Scopre i “Minus-One” e li utilizza, oltre che all’esercizio tecnico, a fare piccoli concerti. Forma poi un quartetto con il quale farà diverse esperienze in piccoli club con molti riscontri favorevoli. Per guadagnarsi da vivere, crea un’orchestra da ballo (negli anni 70 non esistevano discoteche e DJ) e gira l’Italia nelle balere. Il suo “tirocinio gli da un vantaggio altrimenti difficile da ottenere, cioè il riscontro diretto del pubblico: suonare e far ballare è un’esperienza impagabile. Dopo aver terminato studi al conservatorio, approfitta di un’occasione propostagli da alcuni amici musicisti che conoscono la sua vena compositiva, cioè di fare un disco insieme. Da quella proposta nasce negli anni 80 un gruppo che diverrà famoso soprattutto negli Usa: i Change. Un gruppo fantasma con musicisti veri: Luther Vandross voce solista, Davide Romani basso, Mauro Malavasi keyboard/piano, Paolo Gianolio chitarre, Rudy Trevisi sax. Il gruppo Change ottiene un disco d’oro con l’LP “The Glow of Love”. La carriera discografica di Paolo con produttori importanti, lo porta a collaborare con artisti rilevanti nel panorama musicale italiano. Collabora con Eros Ramazzotti come session-man sin dal primo disco, “Cuori Agitati”, contenente il brano che lo ha lanciato “Terra promessa”; segue “Musica è”, continuando negli anni fino all’album “In ogni senso”. Conosce poi Massimiliano Pani e comincia una lunga collaborazione con Mina negli studi di Lugano in dischi come “Lochness”, “Canarino Mannaro”, “Mazzini canta Battisti”, “Cremona”, “Leggera”, “Dalla Terra” e tanti altri. Nell’85 Claudio Baglioni lo “arruola” per il tour “La vita è adesso” e da lì nasce un rapporto di collaborazione e fiducia che lo vede tutt’oggi suo arrangiatore e produttore. Vasco Rossi lo chiama per l’LP “Stupido Hotel” e “Liberi Liberi” dove si cimenta anche come bassista, e “Cosa succede in città”. Ha collaborazioni importanti anche con Laura Pausini, Andrea Bocelli, Miguel Bosè, Fiorella Mannoia, Giorgia, Matia Bazar, Ornella Vanoni, Anna Oxa, Patty Pravo e tanti altri. Con questi grandi artisti gli lasciano in eredità un’esperienza impagabile e fondamentale per la sua vita sia musicale che umanistica. Negli anni 2009 prende forma l’idea di un suo progetto come solista, compositore, bassista, pianista e tastierista, con la partecipazione di un grande musicista, Gavin Harrison, e nasce il suo primo lavoro: ”Pane e Nuvole” distribuito dalla Sony Music e molto apprezzato nell’ambito della musica strumentale e di atmosfera. Nel 2012 ecco il nuovo cd “Tribù di Note” pubblicato da Videoradio e Rai Trade Edizioni Musicali, che vuole protagonista la chitarra acustica, strumento che gli permette di esprimere, elaborare e ricercare, temi e armonie particolari e personalizzate. Suona su alcuni brani l’immancabile Gavin Harrison. La sua ricerca continuerà nel tempo costruita sull’esperienza raccolta nella sua vita, che non lo vede mai appagato del proprio operato. Lo studio di strumenti classici d’orchestra, strumenti elettronici e software musicali, lo porteranno presto ad un lavoro che unirà varie sonorità di diverse etnie. Il suo motto è … arrivare dove si comincia.
Produzione e direzione artistica: Paolo Gianolio www.paologianolio.com Produzione discografica: Beppe Aleo www.videoradio.org