Giusto un anno fa, da queste pagine avevo raccontato qualcosa di Paolo Rigotto e del suo esordio come cantautore. Avevo concluso l’intervista con la
mia solita domanda sulla voglia di futuro: ” …e dopo Corpi Celesti… disegna i tuoi desideri per iprossimi tre anni.” Rispose, tra le altre cose: “… pubblicare un secondo CD…”.
A quell’epoca
le idee per nuove storie da raccontare erano già in cantiere, e a inizio anno
Paolo si è ricordato di me e mi ha inviato una sorta di campionatura, per
sentire il parere di un “esterno”.
La mia quasi necessità di
condivisione, quando mi trovo al cospetto di qualità e originalità musicale, mi
ha indotto a deviare i samples verso un operatore di settore, che a distanza di
tempo mi ha scritto: ” … mi
sono davvero innamorato di Rigotto, mi ci è voluto un po' di tempo per comprenderlo ma alla fine mi sono
appassionato!”
Su questa
affermazione verte la prima domanda dell’intervista a seguire, una riflessione
che non è propriamente legata al gradimento che Paolo può o non può suscitare nell’ascoltatore medio, ma al
bisogno di prendere un attimo di tempo per capire, valutare e interpretare ciò
che la “superficie” quasi irriverente della sua musica non riesce a nascondere:
la profondità del pensiero e dell’intera proposta.
Il nome
dell’album è “Uomo Bianco”, dodici tracce per
quaranta minuti di riflessioni in movimento.
Rigotto
gioca con la parola e confeziona non sense che arrivano dritti al segno, e
attraverso le sue magie disegna scenari drammatici che, utilizzando simbolicamente
il “viso pallido”, raccontano il un fallimento di un mondo che ha vissuto con
stampato sul volto il marchio della - fatua- superiorità.
Le illusioni e le delusioni delle generazioni a noi vicine si aprono a ventaglio, brano dopo
brano, sottolineando le contraddizioni del mondo occidentale, un luogo in cui “The English Peace” e “ The English War” hanno lo stesso esatto
significato.
E emerge
forte il concetto di “vivere la vita”, di rifiutare i dogmi a noi connaturati
per prendersi il tempo di respirare, per oziare e guardarsi intorno, per
rifiutare logiche che, appare ormai evidente, sono perdenti. “Avercela con Dio”, o con qualunque
misterioso “direttore d’orchestra” non è solo uno sfogo ma diventa un diritto, e gli aspetti materiali e quelli
trascendenti si mischiano drammaticamente.
Ma alla fine
ci resterà “LA MUSICA” (“Cambiare
Musica”), che se è vero che “non
può cambiare il mondo…”, resta
elemento fondamentale per alleviare le sofferenze e dare qualche spallata al muro immenso dei problemi, costruito per
giunta con materiale di scarsa qualità.
Nella mia
personale e generale visione del mondo della “canzone”, la musica risulta quasi
sempre dominante, perché è quella che mi colpisce, nel bene o nel male.
In questo
“Uomo Bianco” -ma mi sembra una specificità di Rigotto- il messaggio domina, e
anche il modo dissacrante e originale di proporlo diventa un marchio di
fabbrica.
La musica
quindi al servizio delle parole, ma con una varietà di generi che dimostra
l’ecletticità dell’autore, in bilico tra funk, rap, etnia, reggae e rock puro.
E non mancano accenni di musica progressiva, come accade nella genesisiana parte
centrale di “Via Lattea”.
Per
completare l’opera Paolo Rigotto confeziona in equipe un art work che è parte
integrante dell’album.
Bellissime
fotografie in bianco e nero raccontano esistenze comuni, e momenti di vita
oscura in cui tutti, prima o poi, cadono.
E la salle
de bain di Francois Veramon, improbabile alter ego francese di Rigotto, diventa
luogo vissuto e centro dell’attività quotidiana, e per quanto si cercherà di
allontanare i dolori, affondandoli nel water rappresentato in copertina,
l’operazione risulterà impossibile, e le soluzioni andranno cercate altrove,
agendo e non nascondendo la faccia, perché alla fine siamo tutti “grati di essere nati…”
L’INTERVISTA
Una nostra comune
conoscenza, ora felicemente presente
nella tua vita lavorativa, ha avuto qualche perplessità iniziale sulla tua
musica. Capita di aver bisogno di metabolizzare con tranquillità qualcosa che
inizialmente non convince, e poi non sarà un problema rivedere le proprie idee. Sei conscio che la
tua proposta sia di forte impatto e non così facile da assimilare?
Guarda,
mi capita (raramente!) di leggere recensioni non proprio entusiastiche al mio e
ad altri dischi e domandarmi come si
possa costruire un lavoro che piaccia indiscutibilmente al di là dei gusti e
delle tendenze. Ma alla fine la verità è che non esiste un linguaggio
universale, un gusto “oggettivamente giusto”, una musica obiettivamente
ineccepibile. In realtà sono sempre più
convinto che la musica la si fa e basta, inutile cercare di piacere per forza a
tutti, bisogna innanzitutto piacere a sé stessi. Mi piacerebbe poter dire a
chiunque si imbattesse nel mio lavoro: ascoltalo una volta per capire di che si
tratta, due volte per decidere se ti piace e la terza per decidere che non lo
ascolterai mai più (oppure che può fare parte dei dischi con cui faresti
all'amore).
Raccontami la tua
evoluzione musicale e personale compresa tra Corpi Celesti e Uomo Bianco.
Corpi Celesti è stata una sorpresa anche per me, fino a un'ora prima di
cominciare a realizzarlo non pensavo nemmeno all'idea di registrare un disco a
mio nome e poco tempo dopo lo stavo mandando in stampa. Uomo Bianco invece è partito già con la consapevolezza di voler e
poter parlare ad un pubblico un po' più
ampio, non solo musicisti, non solo musicofili, non solo amici (e amiche)
intimi. Quindi le schizofrenie sonore che popolavano il primo disco hanno dovuto
trovare un compromesso, gli arrangiamenti hanno richiesto decisamente di più di
un mese di lavoro (il tempo che ha richiesto la realizzazione di Corpi Celesti) e soprattutto ho preteso
da me che i testi descrivessero parte del nostro tempo e del nostro mondo.
Chiaramente il tutto nella misura di ciò che so fare e di come lo so fare, cioè
a modo mio.
L’accusa verso questo
nostro mondo “bianco” è una sottolineatura di quanto è ormai davanti agli occhi
di tutti, e anche i più radicati cultori della conservazione incominciano
a vacillare. Quale pensi sia l’apporto
concreto che un qualsiasi musicista, attraverso la sua arte, sia realmente in grado di dare?
La musica
è semplice medicina. Ogni anno si inventa il vaccino per l'influenza invernale,
questo non impedisce all'influenza di nascere e diffondersi, ma sicuramente
grazie ad esso chi vuole può starne alla larga. Non è che il mondo lo si possa
cambiare noi musicisti, ma chi può e vuole sentire cosa abbiamo da dire (posto
che un musicista abbia qualcosa di importante da dire) può vaccinarsi da ciò
che lo minaccia, o almeno capire di che tipo di epidemia si tratta. Più si
diffonde il vaccino, più la gente sta meglio. Sarà poi il mondo a decidere se
vuole cambiare o meno.
Colpisce la bellezza
delle fotografie (in parte tue), e l’utilizzo del “ bianco e nero” condiziona
la “lettura” dei contenuti (è ciò che ho provato), e io non riesco mai a
scindere l’art work da musica e testi. Esiste un collegamento tra la tecnica fotografica( quindi non solo
il soggetto immortalato) e il tuo mood del momento?
Bravo,
sì! Abbiamo scattato ogni foto pensando
alle atmosfere delle canzoni e a cosa volevo comunicare con le parole e la
musica. Quelle canzoni sono per me ormai indivisibili dalle immagini che le
rappresentano e penso che questo sia legato anche alla mia passione per il
cinema e la videoarte. Parlando dei mostri sacri che da sempre fanno parte del
mio immaginario rock, non è possibile ad esempio pensare al primo disco del Banco senza il salvadanaio, o a The Dark
Side of the Moon senza prisma e così via. Quelle immagini hanno
condizionato irreversibilmente le sensazioni legate all'ascolto dei dischi che
rappresentano. Infine, il bianco e nero era la mia esigenza del momento, perché sdrammatizza il drammatico e drammatizza il
grottesco.
Se dovessi fare un
bilancio tra il tuo lavoro all’interno di una band e quello da solista,
riusciresti a trovare un equilibrio?
Da
musicista non potrei fare a meno di nessuna delle due situazioni. Essere membro
di un gruppo ormai consolidato come Banda Elastica Pellizza è, almeno per
me, un elemento imprescindibile della mia vita non solo artistica. Poi c'è
il progetto solista, che è un altro paio
di maniche. Ho musicalmente bisogno di dire e fare quello che mi passa per la
testa e scrivere canzoni è il modo di farlo che più mi piace.
Nella cover è
simboleggiato Il nostro mondo, pronto a cadere
dentro a un water, ma… non passa, e una parte respira. E’ proprio tutto
da buttare o esiste una fetta cospicua che capisce, ed è pronta a virare la
rotta?
A dire la
verità, credo che la stragrande maggioranza del mondo di cui facciamo parte
sarebbe pronta a cambiare rotta, se gliene venisse mostrata un'altra. Il
problema è che spesso si ignora che “esistono un sacco di alternative al vivere
moderno” (Fight Club). Senza esagerare, non si tratta di diventare tutti
quanti elfi e di andare a vivere in grotte scavate nel tufo, basterebbe
sentirsi un po' meno uomini e un po' più animali.
Come hai pianificato la
diffusione live del tuo progetto? Sarà più il frutto di un’azione “one man band”
o in gruppo?
Proporrò,
anzi già propongo, entrambe le situazioni: una di gruppo, molto “rock”, con
Silvio Vaglienti alla chitarra, Roberto Cannillo alle tastiere, Francesco
Borello al basso ed Elvin Betti alla batteria. In questi concerti il principale
effetto speciale è la musica. L'altra situazione live è quella battezzata
“stand alone mode” in cui io, da solo, canto interagendo con un maxischermo
che, in sincro con la musica, manda di volta in volta immagini di vario tipo,
da musicisti virtuali che “suonano” le canzoni insieme a me, a video deliranti,
frutto di collage televisivi oppure realizzati artigianalmente.
UOMO BIANCO...Paolo
Rigotto live...Martedì 22
Maggio 2012
Caffè del Progresso -
Corso S. Maurizio 69
Torino
ore 22:00
Ingresso libero
Info:
Paolo Rigotto:http://www.rigotto.it
http://www.facebook.com/home.php#!/events/142130045919974/ Controrecords:http://www.controrecords.comUfficio Stampa Synpress44:
http://www.synpress44.com