Nei ringraziamenti di rito al momento della premiazione degli Oscar come miglior film straniero a “La grande bellezza” di Paolo Sorrentino non c’è minimo accenno da parte del regista alla classe politica del nostro Paese e più in generale alle Istituzioni che dovrebbero tutelare la bellezza dell’Italia; per cui i messaggi di complimenti di Renzi e di tutti i “galoppini” che stanno rovinando l’Italia non fanno testo e sono una ulteriore dimostrazione di opportunismo e falsità. Dobbiamo, invece, essere orgogliosi noi gente comune di quello che riusciamo a fare al di là di quelli che sono i beceri accadimenti e di chi gestisce il potere.
Personalmente sono ancor più orgoglioso di questo riconoscimento a Sorrentino, perché oltre che italiano è uomo del Sud, è uomo che si è fatto da solo senza l’aiuto di nessuno con i suoi tanti “no grazie”, a chi lo voleva recintare per i propri interessi. Jep Gambardella trova il suo alter ego in Tony Pagoda, personaggio letterario dello stesso Sorrentino e allora tutto diventa più chiaro con l’indice puntato su un mondo che non ci appartiene ma che pur esiste nei pertugi di una desolante Italia.
Paolo Sorrentino e la sua “Grande Bellezza” sono figli di un Paese che trova vigore nello sforzo, nella sofferenza e nella resistenza ad andare avanti per la strada giusta che non è quella delle “terrazze romane”, degli intellettuali radical chic, dello spettacolo becero delle televisioni berlusconiane (e pure quelle che dovrebbero essere di stato) e dei suoi commensali. “La grande bellezza” è il risultato di tante serate meste trascorse a Napoli in compagnia dei propri genitori o dei propri amici.
Ed ecco Sorrentino: “A Napoli c’erano dei volenterosi che organizzavano un corso di sceneggiatura non dico dilettantesco, ma fatto da ragazzi come me. Così andai a Roma, facevo l’assistente volontario alla regia per film carbonari. Un ambiente cinico, spietato, un’esperienza fallimentare. (…) A Toni Servillo dicevano: ‘ma perché perdi tempo con quello?’ (…) Quando da Napoli venni a Roma, bazzicavo il quartiere Prati e i bar frequentati dai dirigenti Rai, tutto un mondo televisivo che frequentava forme di squallore che trovavo meravigliose, i dirigenti Rai che cercavano di abbordare le ragazze che in una presunzione dilagante dicevano il mio pubblico. Cominciai a prendere appunti, creandomi un bacino di immagini. Insomma decisi di fare “La Grande Bellezza” almeno vent’anni fa”.