Il valore della vita di un uomo, l’alta finanza italiana, l’arrivismo, la piccineria , sogni infranti, sofferenza e amore : tutto questo si snoda nell’ ultimo film di Virzì ” Il capitale umano ” , liberamente tratto dall’omonimo romanzo di Stephen Amidon. Meno pessimista del solito, ma fondamentalmente amaro e realista come ben lo si conosce, Virzì narra con mirabile acume una storia vigorosamente noir, facendo ruotare la sua libera interpretazione del romanzo attorno ai binomi , anche d’assonanza : Brianza – finanza, tracotanza-arroganza, indecenza- impotenza, apparenza – speranza, per una pellicola che va a collocarsi a metà tra il drammatico e il genere thriller , ma che comunque non manca di strappare sorrisi allo spettatore nelle sue tinte infuse di commedia umana. In una Brianza immaginaria , che egli stesso ha definito in una intervista come caratterizzata da “paesaggio gelido, ostile e minaccioso”, ricca di “grumi di villette pretenziose” e di “ville sontuose dai cancelli invalicabili”, si snoda il suo racconto 4D di un’Italia incattivita , racconto che Virzì stesso ha definito essere metafora della società odierna. Metafora più che realistica, ma che poi immediatamente ha fatto precipitare il tutto in polemos localistico , molto retorico a dire il vero, da parte degli imprenditori brianzoli e in particolare dal presidente e dell’assessore della provincia di Monza e Brianza (lega nord) , insorti nel vedersi rappresentati come impietosi imprenditori e squali della borsa, per cui Virzì alla fine si è beccato pure dell’ “intellettuale mantenuto”. Nel batti e ribatti in cui Virzì, ha parlato di ” pregiudizio acido “nel giudicare, invitando a parlare del film e di occuparsi di cose più importanti , ci chiediamo : e dove altro poteva essere ambientato il mondo della finanza? Ad Ancona forse? Ma al di là di queste questioni municipali, Virzì ha firmato una validissima e godibilissima pellicola, curatissima nei dettagli, stupendamente orchestrata a restituire lo spessore umano ed emozionale dei suoi personaggi, gioia ed amarezza, buio e luce.
Quattro episodi, ” Dino”, ” Carla ” , ” Serena”, ” ” Il capitale umano ” , narrati nello stesso arco temporale e con diversi punti di vista, orbitano attorno alla vicenda di un cameriere investito da un SUV in una gelida notte invernale e lasciato agonizzante sul ciglio della strada. L’accaduto intreccia così la vita di due famiglie, una alto borghese ( i Bernaschi) e una medio-borghese ( gli Ossola). Chi ha investito il povero uomo che rincasava in bicicletta dopo una pesante giornata di lavoro, resterà ignoto fino quasi alla fine del film, sebbene ad essere accusato in primis è proprio il rampollo della ricca famiglia dei Bernaschi, proprietario dell’auto.
Nel film il tempo del racconto viene moltiplicando i punti di vista e riallineando i fatti da varie angolazioni e dimensioni umane : Dino Ossola ( Fabrizio Bentivoglio ), omuncolo medio borghese , il classico homme de merde , arrivista e pusillanime pronto a barattare la propria famiglia con l’illusione di potere e ricchezza ,sposato con Roberta ( Valeria Golino) psicologa in una struttura pubblica , Carla Bernaschi ( Valeria Bruni Tedeschi), moglie trofeo di un ricco e spietato uomo d’affari, Giovanni Bernaschi ( Fabrizio Gifuni) , ex-attrice di teatro , donna in bilico tra suoi desideri e svuotata del suo ruolo di moglie e madre , Serena ( Matilde Gioli) , figlia di Dino, fidanzata con Massimiliano ( Guglielmo Pinelli) figlio di Carla , il personaggio più libero, fresco ed allo stesso tempo più profondo del film.
Tra debolezze, snobismi e ipocrisie, menzogne, sofferenza si potrebbero trovare molteplici baricentri all’interno di questo prisma in cui gli episodi confluiranno attraverso flash e flashback nel capitolo finale ” Il Capitale Umano” , attraverso i quali incontriamo altri personaggi come Donato (Luigi Locascio), professore di teatro e aspirante scrittore, Luca (Giovanni Anzaldo), ragazzo orfano e sfortunato che esorcizza la sua visione catastrofica della vita disegnando fumetti macabri, Paolo Pierobon, zio di Luca,tossico e approfittatore. Ciò che però in fondo resta oltre l’amarezza del dramma , è la sensazione di un film dinamico e potente, un film in cui il respiro della narrazione si allarga nell’aura coinvolgente delle varie umanità dei suoi personaggi e nella purezza apparentemente invisibile dell’amore e dei veri sentimenti.
E resta anche un Virzì diverso dal solito, che ci riporta alla grandezza dei film di Dino Risi, che in un affresco di un’Italia contemporanea imprime un forte taglio di critica sociale e di costumi, seppure nascosto tra le pieghe comiche e divertenti della commedia. Un Virzì che effettua un affondo sul corpus vile, del cosiddetto ” film leggero italiano”, da un lato incatenando lo spettatore con il mistero della vicenda e dall’altro piegando il film ad un’esigenza di messaggio, di spirito e di umanità. Piazza Affari, certo ne esce afflitta, ma in fondo nessuno si salva in questa Italia dilaniata che attraversa un momento terribile e in cui le vittime che pagano il prezzo più alto sono in particolare le persone più fragili, i più giovani che scontano gli errori di una generazione di adulti immaturi.