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In Italia, si sa, siamo alla periferia dell’Impero, e non solo parlando di musica rock. Ma, nel nostro piccolo, anche noi ci siamo costruiti la nostra mitologia: abbiamo ed abbiamo avuto i nostri musicisti, le nostre testate musicali, persino le etichette discografiche, i nostri organizzatori e i nostri cronisti musicali. Di essi Paolo Vites è uno dei più leggendari. Professionista dalle decadi buone, è il figlio illegittimo di Bob Dylan e Patti Smith. Chi lo segue sa che ha costruito il proprio percorso musicale seguendo il filo rosso di Dylan, mettendosi sulle tracce di ogni musicista che abbia incrociato, in un modo o nell’altro, la vita o la musica dello zio Bob. Non a caso quello che probabilmente è il suo miglior lavoro si intitola “Sulla strada con Bob Dylan”.
Paolo Vites è un personaggio: io lo amo. Non solo è un piacere incontrarlo a zonzo nelle città dove si terrà un concerto di rilievo, ma addirittura di tanto in tanto rimugino fra me e me la possibilità di scrivere un romanzo rock nazionale in stile Raymond Chandler, il cui protagonista si chiami proprio Paolo Vites. Nonostante il Vites abbia scritto forse migliaia di pezzi e non pochi libri, il suo meglio non si trova né il libreria né il edicola, e nessure sul blog (Red River Shore), bensì su faceBook: la sua pagina è un concentrato di ironia, sarcasmo e annotazioni affilate come una lama. Ci vorrebbe proprio che qualcuno un giorno raccolga tutti quanti i suoi aforismi. Quando scrive ufficialmente privilegia invece non tanto l’aspetto più professionale, quanto quello passionale, se non addirittura spirituale (perché il vecchio Vites un mistico lo è, a la Van Morrison. Sui libri scrive con la mano destra, sulla pagina con la sinistra).
In questo nuovo Backstage Pass, sottotitolato “sulla strada con The Good Doctor”, riprende le fila del suo ottimo Do You Believe In Magic, la autobiografia dei suoi passi rock. In Backstage Pass racconta dei concerti a cui ha assistito, che per motivi geografici ed anagrafici coincidono con quelli che abbiamo visto noi, i suoi lettori. La lettura è così una piacevole ricapitolazione fra tanti anni rock e tanti show di musicisti scesi alle nostre spiagge da Albione o da oltreoceano. E al tempo stesso è una gustosa cronaca di quello che significa aver scelto di essere giornalisti musicali in Italia.
Vites tralascia spesso (ma non sempre) i dettagli della cruda cronaca per concentrarsi sull’essenza, l’entusiasmo, l’anima dei musicisti e dello show, rinunciando al suo cinismo. Ed è una cosa buona, anche se, per come la vedo io, il suo meglio Vites lo da da cronista di noir.