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Papa Francesco è comunista? Forse. Politico senz’altro!

Creato il 28 settembre 2015 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali
papamobiledi Gigi Montonato. Il primo a porre la questione è lui, Papa Francesco. “Dicono che io sia comunista – ammicca sornione – e aggiunge: io sono solo col Vangelo”. Anche nel corso della sua visita negli Stati Uniti ha riproposto il quesito e questa volta è andato più in là con la risposta. “Io penso – ha detto sillabando – che mai ho espresso pensiero che non sia stato quello della dottrina sociale della Chiesa”.

Probabilmente ha ragione. La riserva è perché più di una volta, in maniera informale, celiando, come fa lui, ha detto delle cose assai discutibili anche sul piano dottrinale. Ricordiamo ancora il pugno che darebbe a chi gli offendesse la mamma, come disse dopo la strage parigina di Charlie Hebdo, che quasi la giustificava.

E’ proprio questo suo far passare la dottrina sociale della Chiesa, il Vangelo, una mascherata professione di comunismo, non nominale ma sostanziale, che taglia il nodo. Non so se ha mai votato un partito di sinistra o se lo voterebbe. Di certo non ha votato partiti di destra e mai li voterebbe. Il suo stare coi poveri e per i poveri lo inchioda a quello che è e che altro non potrebbe essere. Ma il suo francescanesimo è a metà. Francesco, quello di Assisi, era l’altra sponda del cristianesimo, l’altra rispetto a quella romana. E Papa Bergoglio, l’alter Franciscus, è a Roma.

Ora non c’è chi non sia disposto ad aiutare un povero, ma non credo che ci sia una sola persona a questo mondo che si auguri la povertà sulla terra come obiettivo della sua esistenza. Se così dovesse essere sarebbe un percorso all’indietro della storia. L’uomo che non cerca di migliorarsi e migliorare, che non cerca il progresso e il benessere, ma il regresso e la sua comunione con le cose della terra al loro stato primigenio, è un assurdo storico. Immaginiamo un Benedetto Croce che parafrasasse la sua ben nota formula della storia come processo di libertà e dicesse la storia è processo di povertà.  

Ma – si dice – ovunque vada si muovono maree di gente, di fedeli, non solo di cristiani. Noi lo sappiamo e lo sa pure lui che le folle oceaniche, migliaio in più migliaio in meno, hanno omaggiato anche i suoi predecessori. Per lui, in particolare, si stanno rivelando delle cortine fumogene per non far apparire un dissenso nei suoi confronti che non è soltanto del clero, anche se paradossalmente è l’unico che lo manifesta, sia pure con tutte le modalità del caso.

Il suo papato, che fa tanta gioia delle sinistre, lascerà una Chiesa diversa da quella da lui ereditata, nel bene e nel male. Perché Papa Francesco non fa il papa, fa il politico e lo fa sapendo di favorire in Italia e nel mondo una visione della politica, che è tipica delle sinistre. Non è comunista? Di sicuro è per una politica di sinistra. La sua è una missione politica mascherata di spiritualità trasandata, informale, alla buona.

Ha liquidato il suo esercizio pastorale, di pontefice, di guida spirituale della gente, con due battute. Chi sono io per giudicare? Il Signore perdona tutti, non si stanca mai di perdonare. Ha sostituito, sia pure non esplicitamente, l’orate fratres con un peccate fratres, che manda in visibilio peccatori sistematici, oltre agli occasionali. Ha rottamato il decalogo, che se non è seguito da opportune pene per chi ne viola i comandamenti è pura carta da parati.

Più terra terra in Italia Papa Francesco si colloca politicamente al fianco delle sinistre variamente rappresentate al governo e nelle sue immediate vicinanze. Lo fa come una terapia medica intensiva: almeno dieci volte al giorno, se non di più, esce in televisione e dà una mano a Renzi e compagni, dicendo le stesse cose che dice il governo in materia di unioni civili, di divorziati, di omosessuali, di immigrati. Si capisce perché un Dario Fo va in brodo di giuggiole e con lui le schiere di sinistri di tutto il Paese. Si capisce perché un Mons. Galantino alza la voce e minaccia, insulta i politici che non la pensano come il Papa in certe materie.

La presenza e la predicazione di Papa Francesco pongono nel sistema politico italiano un problema serio, di alterazione degli equilibri nella competizione politica. Chi della predicazione del Papa si avvantaggia, gode di un potentissimo mezzo che gli altri non hanno. Si può obiettare dicendo che già altri papi nel passato si sono resi utili, predicando sempre il Vangelo, ma ciascuno a modo suo, a certi partiti invece che ad altri; ma nessun papa si è spinto a tanto come questo, nessuno ha avuto la visibilità di questo, che non manca mai, dalla mattina alla sera, a nessun notiziario televisivo. Se l’osservatorio di Pavia ci quantificasse il tempo delle sue apparizioni avremmo un quadro esatto della sua forza dirompente a vantaggio della parte politica da lui privilegiata.

Né si capisce la ragione per la quale i mezzi di informazione di massa privilegino un papa politico, pacchianamente a favore di una certa politica. Se all’astensione elettorale, all’antipolitica, alla crisi dei partiti, allo sbando postideologico, aggiungiamo la massiva propaganda papale, l’Italia presto diventerà uno Stato teocratico imperfetto, in cui, pur con le consuete diversificazioni politiche, tutte le parti si riconoscono in un capo, che, apparentemente di politico non ha nulla, essendo un capo religioso, ma di fatto è il dominus indiscusso e incontrastato.

Sarebbe ora che chi non si riconosce negli obiettivi politici di questo papa si ribellasse e incominciasse a trattarlo da politico, costringendolo a rientrare nel suo ambito religioso. Non dice “unicuique suum” l’Osservatore Romano in un suo sottotitolo? Bene, si cominci di lì.  


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