“Pope Hope”. Un motto che profuma di speranza quello di Solmoe, che grazie all’amore e alla fratellanza, ai sentimenti che Papa Francesco pare portare con se e lasciare al suo passaggio come una scia, sta cambiando la realtà della Corea del Sud.
Il Pontefice abbatte il muro del materialismo nel santuario di Solmoe, denunciando chi crede di vivere una vita valida solo perché è ricco, ma che poi si riscopre interiormente vuoto. “Gesù può trasformare tutto, anche le situazioni più disperate”, e spiega che la Chiesa “deve rappresentare l’unità di tutta la famiglia umana”.
Contro la violenza e la ricchezza. “Insieme con i giovani di ogni luogo voi dovete adoperarvi ed edificare un mondo in cui tutti vivono in pace e amicizia, superando le barriere, ricomponendo le divisioni, rifiutando la violenza e il pregiudizio”. Con la “idolatria della ricchezza, del potere e del piacere” aggiunge “si ottengono costi altissimi nella vita degli uomini”. I giovani sono i più fragili perché “anche se circondati dalla prosperità materiale” soffrono di “povertà spirituale, solitudine e silenziosa disperazione”. Come se il “deserto spirituale” li derubasse “della speranza e in troppi casi anche della vita stessa”.
La prima parte del discorso in inglese è stata seguita da una seconda parte in italiano. “Ho un inglese scarso”, dice il Pontefice.
Si affrontano poi altri dubbi, quasi di intima natura, che scaturiscono specialmente nei giovani: “Che strada devo scegliere? Tu non devi scegliere nessuna strada è Gesù che sceglie”. E si affronta la delicata questione della divisione: “Ci sono due Coree?” si chiede “No, è una, ma la famiglia è divisa”.