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Papa Francesco sui migranti: possiamo criticarlo?

Creato il 08 agosto 2015 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali
Canonization_2014-_The_Canonization_of_Saint_John_XXIII_and_Saint_John_Paul_II_(14036966125)di Michele Marsonet. Criticare Papa Francesco equivale a essere subito respinti in un girone infernale di reprobi, posizione senza dubbio scomoda. In poco tempo il pontefice argentino è diventato un’icona buona per tutti gli usi, e non si contano più le espressioni di entusiasmo che puntualmente accompagnano i suoi interventi. Vale sia per gli opinion leaders sia per la gente comune.

E poi è così simpatico, come si fa a negarlo? Lo notano in tanti, dai vecchi comunisti, ai radical chich ai liberali doc. Di certo sa parlare – a differenza del suo predecessore – alle folle, usando sempre parole semplici e accattivanti, comprensibili a tutti. Semplifica troppo? Pazienza, rispondono i suoi sostenitori, è il prezzo da pagare se si vuole essere capiti.

Tuttavia tra l’essere simpatici e l’aver ragione corre un po’ di differenza, e un minimo di buon senso basta per appurarlo. Che significa, per esempio, sostenere che “respingere i profughi è un atto di guerra”? Il Papa lo ha detto ieri durante un’udienza, in modo tranquillo e pacato. Ma, al contempo, assai deciso.

Qui si pone un problema molto serio. Il capo della Chiesa cattolica è un’autorità spirituale di primo piano e, esaminando i fatti da quell’ottica, può affermare ciò che vuole.

Non dovrebbe però dimenticare che un’autorità spirituale si colloca in una dimensione universale che ben poco ha a che fare con i dilemmi concreti affrontati da uno Stato.

Si considerino a mo’ di esempio due casi eclatanti, l’Italia e la Grecia. Entrambi i Paesi devono affrontare l’emergenza di sbarchi continui che, spesso, finiscono in tragedia. A me pare chiaro che Roma e Atene non possono accogliere tutti – ma proprio tutti – i migranti.

In primo luogo perché non hanno la capacità di assorbire e di integrare un numero così enorme di persone. Si tratta, in entrambi i casi, di Paesi con gravi difficoltà economiche (anche se quelle greche sono maggiori delle nostre). Dunque affermare che bisogna accoglierli tutti è solo mera demagogia.

In secondo luogo dovrebbe ormai essere chiaro che il flusso dei migranti pone problemi di ordine pubblico, e se ne sono finalmente accorti anche francesi e britannici a causa della tensione ormai endemica all’Eurotunnel. Non tutti i migranti, inoltre, sono uguali.

C’è chi scappa per motivi seri, chi in cerca di una fortuna che non si vede come l’Europa possa assicurare, e chi con l’intento di infiltrarsi nelle nazioni europee per rafforzarvi la già forte rete collegata al fondamentalismo. Che senso ha, allora, gridare che abbiamo in pratica l’obbligo di accoglierli tutti?

Forse sarebbe meglio rammentare al Papa, il quale già fece scalpore urlando “vergogna!” in occasione di un’ennesima tragedia a Lampedusa, che le esortazioni morali valgono se sono accompagnate dalla consapevolezza dei problemi pratici che uno Stato deve fronteggiare in simili occasioni.

Capisco che non è facile accorgersene stando nel minuscolo Stato del Vaticano, che a tali problemi assiste senza avere molte possibilità d’intervento, se non in maniera mediata tramite la rete delle organizzazioni cattoliche. Papa Bergoglio dovrebbe però comprendere le difficoltà enormi cui nazioni in crisi come Italia e Grecia devono far fronte a causa di una migrazione che ha assunto dimensioni gigantesche.

Non si fa la guerra respingendo i profughi, o almeno una parte di essi. Si rischia invece di incoraggiarla se non si comprende che la questione va affrontata negli stessi Paesi all’origine del flusso migratorio. E gli strumenti ci sono: basta un po’ di capacità decisionale e di consenso in ambito internazionale.

Com’è noto le parole, a volte, sono pietre. Quelle pronunciate da Francesco possono anche affascinare e ingannare gli ingenui, ma non aiutano a trovare soluzioni. E di quest’ultime abbiamo bisogno, non di proclami generici che peggiorano la situazione.


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