La notizia che sarà Rocco Papaleo ad affiancare il confermato Gianni Morandi nella conduzione del 62° Festival della canzone italiana di Sanremo, nel ruolo che l’anno scorso fu di Luca Bizzarri e Paolo Kessisoglu, riveste a mio avviso un’importanza che va al di là della mera notazione giornalistica. È la testimonianza che, prima o poi, il lavoro paga sempre e, quando si ha un’occasione unica e (forse) irrepetibile come Sanremo per farsi conoscere al grande pubblico, difficilmente la si butta al vento. È successo l’anno scorso alle due ex Iene, attori veri e consumati da anni di teatro; è successo, a ritroso nel tempo, per i vari Michelle Hunziker, Gene Gnocchi e Paola Cortellesi, giù giù fino a Patrizia Rossetti, impeccabile nel 1982. Artisti con la maiuscola d’obbligo, che sul palco, in epoche e direzioni artistiche differenti, sono usciti tutti vincenti dal frullatore sanremese con il doppio favore di pubblico e addetti ai lavori. Certo, occorre che, al di là della bravura dell’interessato, ci sia tutt’attorno un universo che giochi a far sì che questo talento venga portato alla luce nel giusto modo. Altrimenti il rischio, concreto, è quello d’imbattersi in buoni artisti che all’Ariston sono andati incontro a prestazioni più o meno mediocri, con uno spazio talvolta quasi nullo. I casi sono tanti: su tutti quelli di Lorella Cuccarini (1993) e delle coppie Claudia Gerini-Serena Autieri e Bianca Guaccero-Andrea Osvart, piegate dall’ingombrante presenza di Pippo Baudo nel 2003 e 2008. Non si parla qui né di conduttori veri e propri, che hanno in mano le redini della kermesse, né tantomeno di vallette o valletti, termine aberrante ma che rende bene l’idea dell’(in)utilità di questi sul palco. Qui si parla di quel corposo limbo intermedio popolato da figure che, in caso di emergenza, un festival te lo possono anche salvare. Un po’come successe l’anno scorso con Bizzarri e Kessisoglu, che riempirono con sapienza le incertezze nella conduzione di Morandi e qualche buco di troppo di scaletta, o nel 2001 con Chiambretti. Per Papaleo è un’occasione unica per farsi conoscere al grande pubblico televisivo, che lo ricorda, se va bene, solo se accostato ai film di Pieraccioni, abbattendo nel contempo quegli inutili steccati (tutti italiani, ndr.) che vogliono un attore buono o solo per il cinema o solo per le fiction o solo per il teatro, ignorando che, se uno attore lo è per davvero, è buono e per il cinema e per la televisione e per il teatro. Papaleo è artista poliedrico e attore capace, abile nel saper passare da film disimpegnati a prove d’autore (la sua interpretazione del piccolo politicante Cucchiaro in “Del perduto amore” di Michele Placido è una piccola perla). Un istrione che ha sempre spaziato dal cinema al teatro, dal cabaret alla musica, passione quest’ultima ben concretata nella sua prima regia cinematografica, il recente e delizioso “Basilicata coast to coast”, ma anche dalla pubblicazione, nel lontano 1997, di un album d’inediti, “Che non si sappia in giro”, di cui l’attore di Lauria curò testi e musiche, non banali. Uno capace, insomma, ora chiamato alla prova del nove. Accanto a sé avrà una modella ceca – pare appassionata di musica – Ivana Mrazova e la ventisettenne Tamara Ecclestone, figlia del padre padrone della Formula 1, Bernie, che al momento risulta essere, accanto a un’indiscutibile avvenenza, la sua qualità migliore. Questione di papà, insomma… o Papa-leo o papà-tuo.
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La notizia che sarà Rocco Papaleo ad affiancare il confermato Gianni Morandi nella conduzione del 62° Festival della canzone italiana di Sanremo, nel ruolo che l’anno scorso fu di Luca Bizzarri e Paolo Kessisoglu, riveste a mio avviso un’importanza che va al di là della mera notazione giornalistica. È la testimonianza che, prima o poi, il lavoro paga sempre e, quando si ha un’occasione unica e (forse) irrepetibile come Sanremo per farsi conoscere al grande pubblico, difficilmente la si butta al vento. È successo l’anno scorso alle due ex Iene, attori veri e consumati da anni di teatro; è successo, a ritroso nel tempo, per i vari Michelle Hunziker, Gene Gnocchi e Paola Cortellesi, giù giù fino a Patrizia Rossetti, impeccabile nel 1982. Artisti con la maiuscola d’obbligo, che sul palco, in epoche e direzioni artistiche differenti, sono usciti tutti vincenti dal frullatore sanremese con il doppio favore di pubblico e addetti ai lavori. Certo, occorre che, al di là della bravura dell’interessato, ci sia tutt’attorno un universo che giochi a far sì che questo talento venga portato alla luce nel giusto modo. Altrimenti il rischio, concreto, è quello d’imbattersi in buoni artisti che all’Ariston sono andati incontro a prestazioni più o meno mediocri, con uno spazio talvolta quasi nullo. I casi sono tanti: su tutti quelli di Lorella Cuccarini (1993) e delle coppie Claudia Gerini-Serena Autieri e Bianca Guaccero-Andrea Osvart, piegate dall’ingombrante presenza di Pippo Baudo nel 2003 e 2008. Non si parla qui né di conduttori veri e propri, che hanno in mano le redini della kermesse, né tantomeno di vallette o valletti, termine aberrante ma che rende bene l’idea dell’(in)utilità di questi sul palco. Qui si parla di quel corposo limbo intermedio popolato da figure che, in caso di emergenza, un festival te lo possono anche salvare. Un po’come successe l’anno scorso con Bizzarri e Kessisoglu, che riempirono con sapienza le incertezze nella conduzione di Morandi e qualche buco di troppo di scaletta, o nel 2001 con Chiambretti. Per Papaleo è un’occasione unica per farsi conoscere al grande pubblico televisivo, che lo ricorda, se va bene, solo se accostato ai film di Pieraccioni, abbattendo nel contempo quegli inutili steccati (tutti italiani, ndr.) che vogliono un attore buono o solo per il cinema o solo per le fiction o solo per il teatro, ignorando che, se uno attore lo è per davvero, è buono e per il cinema e per la televisione e per il teatro. Papaleo è artista poliedrico e attore capace, abile nel saper passare da film disimpegnati a prove d’autore (la sua interpretazione del piccolo politicante Cucchiaro in “Del perduto amore” di Michele Placido è una piccola perla). Un istrione che ha sempre spaziato dal cinema al teatro, dal cabaret alla musica, passione quest’ultima ben concretata nella sua prima regia cinematografica, il recente e delizioso “Basilicata coast to coast”, ma anche dalla pubblicazione, nel lontano 1997, di un album d’inediti, “Che non si sappia in giro”, di cui l’attore di Lauria curò testi e musiche, non banali. Uno capace, insomma, ora chiamato alla prova del nove. Accanto a sé avrà una modella ceca – pare appassionata di musica – Ivana Mrazova e la ventisettenne Tamara Ecclestone, figlia del padre padrone della Formula 1, Bernie, che al momento risulta essere, accanto a un’indiscutibile avvenenza, la sua qualità migliore. Questione di papà, insomma… o Papa-leo o papà-tuo.
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