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Finalmente era finita anche quella giornata di lavoro. Un giorno come tanti, quasi piatti senza niente da ricordare veramente così anonimo da sembrare inutili.
Marco aveva imparato che non ci sono giornate inutili, ognuna ha il suo compito, piccolo o grande che sia. A volte ci portano cose bellissime, a volte invece servono solo a dare un collocamento ai pensieri, alle emozioni, ai sentimenti. Ecco, forse questo era uno di quei giorni. Appena uscito dal lavoro lo aveva percepito dal suo bisogno di stare un po' da solo, senza chiasso, senza chiacchiere, solo, fisicamente solo con il peso delle sue emozioni da sistemare e da capire.
Salito in macchina non prese la direzione solita di casa, ma deviò verso la campagna aperta e quando giunse in quello che al momento gli sembrava il suo posto ideale accostò, scese e dopo pochi passi si trovò immerso nel verde del prato. Un verde che sarebbe stato così superbo ancora per poco, vista la stagione, ma che in compenso odorava di terra leggermente umida e di erba rigogliosa.
Marco vide con piacere che il prato era punteggiato ancora di papaveri. Non erano tanti come d'estate, ma resistevano ancora con il loro rosso splendido che spiccava bellissimo, in mezzo a varie tonalità di verde e dava piacere allo sguardo ed il tutto sembrava quasi dare pace all'anima. Pensò, in quel momento, di sentirsi un po' papavero anche lui: all'apparenza uno sicuro, un po' selvatico e quindi resistente perchè ben ancorato al suolo, che sapeva anche distinguersi, ma da vicino era un'altra cosa. Seduto tra l'erba si avvicinò e ne guardò uno, facendo attenzione a non sradicarlo o reciderlo, quasi a non volergli far male.
Capì che quella corolla lo rappresentava in qualche modo. Era rossa sgargiante, un rosso da sembrare sempre autosufficiente, ma composta da petali delicatissimi e vellutati che si rovinavano facilmente appena la pressione delle dita si faceva più forte.
Esattamente come lui sapeva di essere: non appena veniva toccato da qualcosa sapeva viverlo tanto intensamente da sentirsi quasi travolto. Di solito lo nascondeva bene, ma stavolta era diverso. Qualcuno lo aveva sfiorato, con calma, senza fretta eppure velocemente, senza far male ma fermamente per non lasciare che scappasse, che chinasse il capo come fanno i papaveri al vento.
Era una situazione nuova o, almeno, non usuale. Non valeva più opporre la razionalità, doveva solo accettare di farsi esplorare, dentro e fuori come una corolla aperta di papavero, vellutata e rossa, delicata ed allo stesso tempo forte nel suo esistere.
Marco capì all'improvviso che andava bene così. Era il sogno rincorso da una vita perchè poteva esprimersi in ogni suo aspetto, senza limiti, senza confini, in piena libertà e si sentiva capito.
Si sdraiò un attimo per godersi quella sensazione di pace interiore arrivata finalmente dopo giorni e chiuse gli occhi per qualche minuto per assaporarla meglio.
Quando aprì gli occhi vide che ormai le prime stelle stavano spuntando qua e là nel cielo che si faceva sempre più buio ma che ancora conservava qualche sprazzo di luce violetta e qualche raggio di rosso-arancione.
Anche le stelle gli assomigliavano: brillavano di luce propria e sapevano dare luce ad altri e stavano su, in alto in quel cielo dove lui amava volare nelle giornate limpide. Pensò, per un attimo, che le stelle erano fortunate.
Loro non dovevano mai scendere a terra, erano libere di guardare tutto dall'alto e forse da lì era più semplice anche lasciarsi andare e vivere il più intensamente possibile tutte le emozioni della vita.
Marco provò ad immaginare come sarebbe stato lassù ancora per un po'.
Le stelle erano sempre di più e punteggiavano intensamente la volta celeste. I papaveri mantenevano il loro colore rosso anche sotto la luce delle stelle.
In quel momento capì di essere un papavero illuminato dalle stelle, anzi da una stellina che lo aveva preso e capito al volo, lasciandolo libero di alzare lo sguardo e volare in alto.... e sapeva che da lontano la sua piccola stella pensava a lui e sorrideva...