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PARADISE, HAWAIIAN STYLE
Pubblicato: Giugno 1966Classifica Usa: 15Classifica Uk: 7
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LATO 1
PARADISE, HAWAIIAN STYLEQUEENIE WAHINE'S PAPAYASCRATCH MY BACK (Then I'll Scratch Yours)DRUMS OF THE ISLANDSDATIN'
LATO 2
A DOG'S LIFEHOUSE OF SANDSTOP WHERE YOU ARETHIS IS MY HEAVEN[Bonus Song] SAND CASTLES
***
Siamo nel 1965 quando Hal Wallis gioca per la terza volta la carta Hawaiiana, dopo aver prodotto alcuni dei più grandi exploit di Elvis sul grande schermo. Questa decisione è alimentata dalla volontà di rinverdire i fasti di un'avventura, quella nel mondo del cinema, che aveva perso lo slancio iniziale, vittima dei suoi stessi stereotipi e della fondamentale carenza qualitativa. Blue Hawaii (1961) si era rivelato un investimento straordinariamente redditizio per Wallis, mentre il long playing tratto da quel progetto, gratificato da un enorme riscontro in termini di vendite, era riuscito nell'impresa di trasmettere la stessa piacevole atmosfera della pellicola. Simili risultati confermavano che con un minimo sforzo di immaginazione e capacità organizzative era possibile realizzare dei prodotti di discreto livello, pur muovendosi in ambiti disimpegnati ed esclusivamente commerciali. Tuttavia, con il passare del tempo e salvo pochissime eccezioni, lo standard iniziale era andato progressivamente abbassandosi. I film girati da Elvis e la musica per essi registrata si erano velocemente trasformati in opere minori, tirate via nella speranza che bastasse il grande appeal del protagonista per farle emergere.
Visti i presupposti e le intenzioni dell'uomo che più di ogni altro aveva frustrato le ambizioni artistiche del cantante, di fatto indirizzandole in un vicolo cieco, la nuova gita nelle isole viene affrontata in modo sorprendentemente approssimativo. Guardando Paradise, Hawaiian Style si è infatti testimoni di una deriva cinematografica che non ci si sarebbe aspettati dalla Paramount. Praticamente privo di trama, il film si limita a mostrare una serie di bellissime immagini, che in assenza di un vero e proprio soggetto e di un'adeguata sceneggiatura finiscono con il risultare fini a se stesse. La colonna sonora conserva la stessa natura documentaristica e sull'album le canzoni sfilano una dopo l'altra, senza particolari sussulti, lasciando una strana sensazione di abbandono e distacco emotivo.
Pare che Elvis abbia una gran fretta di liquidare Queenie Wahine's Papaya, così da dimenticarsene per sempre, agevolato dal velocissimo finale della canzone. Datin', A Dog's life e House Of Sand sono episodi trascurabilissimi, pezzi impalpabili ed infinitamente distanti dal valore dell'artista che si costringe ad interpretarli. Anche Scratch My Back e Stop Where You Are, nonostante l'arrangiamento appena più consistente e sfizioso, finiscono inesorabilmente nell'anonimato dopo i primi ascolti. Paradise, Hawaiian Style, la title track, manca dell'indispensabile entusiasmo e da l'impressione di essere null'altro che una forzatura poco ispirata, anche se sette anni più tardi sarebbe riemersa dalle nebbie del passato per introdurre un progetto di ben altro spessore. Drums Of The Islands è fresca e perfettamente in tema. Nulla di eccezionale, occorre sottolinearlo, ma infonde alla soundtrack quel minimo di vitalità del quale c'era urgente bisogno. Grazie ad una buona linea melodica e alla sua natura sognante, This Is My Heaven offre invece lo spunto per chiudere gli occhi e crogiolarsi al pensiero di una sperduta spiaggia baciata dal sole. Sand Castles, che evolve da scarto del film a bonus song dell'album, trasuda sincerità espressiva e coinvolgimento e si aggiudica la palma di miglior brano del lotto, lasciando un dolce ricordo di questa deludente esperienza sonora. Non è poco.
Con i suoi incassi al botteghino nettamente al di sotto delle aspettative, che fanno il paio con il poco incoraggiante 15° posto raggiunto dal disco in classifica, Paradise, Hawaiian Style sancisce la fine dell'epoca Paramount, anche se ci sarebbe stata una coda l'anno successivo. Per quanto riguarda il grande sogno Hollywoodiano dell'ormai disilluso Elvis, sarebbe definitivamente svanito verso alla fine del decennio.
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