La seconda motivazione per cui Paradise: Hope non è entrato nelle mie grazie si discosta dai possibili meriti/demeriti dell’austriaco, forse, e qui chiedo scusa al lettore a cui consiglio di abbandonare la lettura poiché sto per divagare in modo scriteriato, dicevo: forse il punto cruciale è che non è tanto Seidl ad essere cambiato, sono cambiato io. O meglio, è cambiata la mia sensibilità nei confronti del cinema che vedo. Il processo evolutivo (o involutivo, chissà) di interiorizzazione di un’opera d’arte cinematografica a cui sono andato incontro in anni e anni di visioni si è profondamente modificato, e con esso è cambiata anche la persona me medesima. Non ne ho la certezza, ma credo che se oggi rivedessi un Canicola (2001) qualunque non mi lascerei andare a chissà quali plausi. Attualmente, e lo dico con grande franchezza, non credo più molto nel cinema di Seidl, e dico Seidl ma è come se dicessi buona parte dei registi che hanno riempito le pagine di questo blog; da dove sono ora, che non so esattamente dove sia ma so che non è dove sono stato per tanto tempo, vedo molto di quel cinema come un intrattenimento, non l’intrattenimento becero, sia chiaro, ma in generale un coacervo di esemplari più o meno conforma-mente narrativi. Il problema credo stia proprio lì, nella narrazione, se si vuole andare avanti è necessario scardinare i dogmi metodologici, e seguendo come esempio i binari di Hope, ovvero il consumato canovaccio di un percorso amoroso, si arriva al massimo a quell’intrattenere sopraccitato. Ma chi si ferma qua è uno stolido. Bisogna sempre rapportarsi al verticale, che sia il cielo o che sia l’abisso, ciò che sta alla nostra altezza non ci fa crescere di un centimetro, e Paradies: Hoffnungsta proprio lì, banalmente a portata di mano.
La seconda motivazione per cui Paradise: Hope non è entrato nelle mie grazie si discosta dai possibili meriti/demeriti dell’austriaco, forse, e qui chiedo scusa al lettore a cui consiglio di abbandonare la lettura poiché sto per divagare in modo scriteriato, dicevo: forse il punto cruciale è che non è tanto Seidl ad essere cambiato, sono cambiato io. O meglio, è cambiata la mia sensibilità nei confronti del cinema che vedo. Il processo evolutivo (o involutivo, chissà) di interiorizzazione di un’opera d’arte cinematografica a cui sono andato incontro in anni e anni di visioni si è profondamente modificato, e con esso è cambiata anche la persona me medesima. Non ne ho la certezza, ma credo che se oggi rivedessi un Canicola (2001) qualunque non mi lascerei andare a chissà quali plausi. Attualmente, e lo dico con grande franchezza, non credo più molto nel cinema di Seidl, e dico Seidl ma è come se dicessi buona parte dei registi che hanno riempito le pagine di questo blog; da dove sono ora, che non so esattamente dove sia ma so che non è dove sono stato per tanto tempo, vedo molto di quel cinema come un intrattenimento, non l’intrattenimento becero, sia chiaro, ma in generale un coacervo di esemplari più o meno conforma-mente narrativi. Il problema credo stia proprio lì, nella narrazione, se si vuole andare avanti è necessario scardinare i dogmi metodologici, e seguendo come esempio i binari di Hope, ovvero il consumato canovaccio di un percorso amoroso, si arriva al massimo a quell’intrattenere sopraccitato. Ma chi si ferma qua è uno stolido. Bisogna sempre rapportarsi al verticale, che sia il cielo o che sia l’abisso, ciò che sta alla nostra altezza non ci fa crescere di un centimetro, e Paradies: Hoffnungsta proprio lì, banalmente a portata di mano.
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