Paradise: Hope

Creato il 31 dicembre 2015 da Eraserhead
Oplà, saltiamo subito alle conclusioni: adesso che la trilogia paradisiaca di Ulrich Seidl è scorsa davanti ai miei occhi mi sono fatto un’opinione piuttosto precisa. Già con i dure episodi precedenti lamentavo l’assenza di una forte incidenza sul nostro tasso d’impressione da parte del regista austriaco, soprattutto Paradise: Faith(2012) si macchiava di una cospicua dose di prevedibilità per cui l’effettivo svolgimento della sinossi acquietava l’opera in un orizzonte piatto e inerte. La discesa di Seidl subisce un’ulteriore accelerazione con Paradies: Hoffnung(2013), il film più innocuo della sua carriera al pari di Models (1999). Il perché di una tale docilità esplicativa ha almeno due motivazioni: la prima, nonché quella decisiva, è dovuta al fatto che Seidl, in questa trilogia, e soprattutto in Hope, ha abbandonato quello spirito corale che permetteva una rifrazione molteplice delle miserie umane rappresentate. Avendo un solo focus (una donna per ogni film) con cui poter veicolare i propri intenti, la possibile carica notificante, cioè il passaggio fondamentale per cui il pensiero di Seidl esplicitato nelle immagini filmiche dovrebbe riverberarsi nel nostro sentito, non giunge a destinazione. La storia tra Melanine e il dottore è tutta una parvenza, un tiro neanche troppo corretto che fa leva sulla concretizzazione o meno di una realtà sessuale tra un uomo e una ragazzina, penso che questa volta non ci siano dardeggiamenti convincenti alla società occidentale (e quindi a noi), il film è troppo arginato dai rivoletti sentimentali dell’adolescente che saranno anche universali ma che al contempo saranno altrettanto risaputi. Il continuo rinvio di una catarsi carnale diventa l’unico motore pruriginoso del film, onestamente mi sembra pochino.
La seconda motivazione per cui Paradise: Hope non è entrato nelle mie grazie si discosta dai possibili meriti/demeriti dell’austriaco, forse, e qui chiedo scusa al lettore a cui consiglio di abbandonare la lettura poiché sto per divagare in modo scriteriato, dicevo: forse il punto cruciale è che non è tanto Seidl ad essere cambiato, sono cambiato io. O meglio, è cambiata la mia sensibilità nei confronti del cinema che vedo. Il processo evolutivo (o involutivo, chissà) di interiorizzazione di un’opera d’arte cinematografica a cui sono andato incontro in anni e anni di visioni si è profondamente modificato, e con esso è cambiata anche la persona me medesima. Non ne ho la certezza, ma credo che se oggi rivedessi un Canicola (2001) qualunque non mi lascerei andare a chissà quali plausi. Attualmente, e lo dico con grande franchezza, non credo più molto nel cinema di Seidl, e dico Seidl ma è come se dicessi buona parte dei registi che hanno riempito le pagine di questo blog; da dove sono ora, che non so esattamente dove sia ma so che non è dove sono stato per tanto tempo, vedo molto di quel cinema come un intrattenimento, non l’intrattenimento becero, sia chiaro, ma in generale un coacervo di esemplari più o meno conforma-mente narrativi. Il problema credo stia proprio lì, nella narrazione, se si vuole andare avanti è necessario scardinare i dogmi metodologici, e seguendo come esempio i binari di Hope, ovvero il consumato canovaccio di un percorso amoroso, si arriva al massimo a quell’intrattenere sopraccitato. Ma chi si ferma qua è uno stolido. Bisogna sempre rapportarsi al verticale, che sia il cielo o che sia l’abisso, ciò che sta alla nostra altezza non ci fa crescere di un centimetro, e Paradies: Hoffnungsta proprio lì, banalmente a portata di mano.

Potrebbero interessarti anche :

Possono interessarti anche questi articoli :