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Paradiso amaro

Creato il 14 marzo 2012 da Lo Sciame Inquieto
Paradiso amaroInnanzitutto va riconosciuto a questo film di avere uno degli incipit migliori sentiti al cinema negli ultimi anni: "I miei amici credono che solo perché io abito alle Hawaii io viva in paradiso, passando il tempo a bere Mai Tai e a fare surf: sono 15 anni che non salgo su una tavola da surf" (a volte ho la sensazione che qualcuno pensi più o meno la stessa cosa di me che vivo a Roma! ;-).
Probabilmente il difetto di Paradiso amaro sta nel non avere un centro, perché sono tanti, forse troppi i temi affrontati e alla fine non si è veramente in grado di dire di cosa ci voleva parlare.
Come dice C., si tratta di un "film 3x2 anticrisi: film sul rapporto moderno padre-figlie, film ambientalista, film polpettone strappalacrime con un solo biglietto e pure con l’intramontabile George!"
Aggiungerei che c'è pure il tema del testamento biologico e così l’offerta si fa ancora più succulenta ;-)
In realtà, esiste un centro della storia e questo centro è il personaggio di Matthew King (George Clooney), un uomo che - per almeno una buona metà del film - ci appare completamente spaesato e inadeguato di fronte agli eventi che lo travolgono: il coma della moglie e il suo testamento biologico in cui chiede che le macchine siano staccate, i bisogni pratici ed emotivi delle figlie di cui di fatto non si è mai occupato personalmente, la vendita di una vasta area ereditata dalla trisnonna hawaiana che aveva sposato il suo medico bianco e che quasi sicuramente sarà destinata alla speculazione edilizia, la scoperta del tradimento della moglie e della sua intenzione di chiedere il divorzio.
Di fronte a tutto questo Matt appare inizialmente quasi un estraneo: sembra osservare e commentare le cose dall’esterno, senza toccarle, senza entrarci veramente in relazione. Matt è un buono, ma non riesce davvero a prendere in mano la vita, a diventarne in qualche modo motore attivo.
Matt vive come in apnea, congelato all’interno di una vita in cui tutto è esattamente come dovrebbe: una moglie bella e attiva, l’affetto degli amici, due figlie sveglie di cui una va a un college prestigioso, un lavoro che gli piace, la ricchezza familiare, la villa con piscina e l’isola paradisiaca a fare da culla a tutto questo.
In realtà, niente è come la sua intelligenza emotiva rarefatta gli fa credere. Ed è la vita stessa che lo costringe a porsi delle domande, a tirare fuori la rabbia, a guardarsi intorno forse per la prima volta, a entrare in contatto con se stesso.
La storia di Paradiso amaro è raccontata in modo un po’ spiazzante, è costellata di personaggi buffi, quasi irreali e di situazioni tragicomiche; la stessa ambientazione teoricamente idilliaca appare inquietante, con i suoi orribili grattacieli, i fintissimi prati inglesi, i cieli scuri e cangianti, la natura quasi respingente.
Tutto però si compone nel personaggio di Matt e nel percorso che lo porterà a perdonare, a scegliere, a ritrovare.
Non certo un film lineare, ma nemmeno un film banale e scontato come si poteva temere.
Alexander Payne dimostra di essere un signor regista e riesce sostanzialmente a tenere insieme la materia magmatica di questa storia, anche e soprattutto grazie alla bravura di George Clooney.
E comunque se pensavate che le camicie a fiori o dalle fantasie orribili cui associamo mentalmente le Hawaii sono un vezzo da turisti, sappiate che non è così…
Le portano davvero tutti!
Voto: 3/5
P.S. Straordinaria la metafora di Matt sulla famiglia, un arcipelago come le Hawaii, le cui componenti sono parte di un tutt'uno, benchè separate e sole e sempre alla deriva, lentamente si allontanano... (benché il film in qualche modo dimostri esattamente il contrario!)

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