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Parafrasare e investigare: talenti sprecati n° 34 e 35

Creato il 03 novembre 2011 da Emanuelesecco

girolamo

‎"Il Petrarca, per le assidue e fortunate indagini alla ricerca di antichi codici, che restituissero opere smarrite o contribuissero alla miglior conoscenza delle già note, e per le riflessioni, abbondantemente disseminate nelle opere latine, su questioni attributive, testuali, esegetiche, paleografiche e codicologiche, merita senza dubbio il titolo di iniziatore della filologia umanistica"1

Si può dire che la mia giornata sia iniziata con questo paragrafo.
Mi trovavo seduto in autobus, il libro di Filologia Italiana sulle ginocchia e matita in mano, solida spada pronta a ferire di grigio le pagine in lettura. La solita e immancabile vecchietta mi fissa i capelli e la barba con una faccia che sa tanto di io-alla-tua-età-pensavo-ad-andare-in-chiesa-a-soddisfare-mio-marito-e-a-non-contraddirlo-mai. Io le rispondo con sospiri che tanto sanno di bella-giovinezza-del-cazzo-che-hai-passato-pensa-che-a-farti-i-cazzi-tuoi-potresti-vivere-cent’anni. Ma torniamo al libro: tutto bene per quanto riguarda l’introduzione, senza contare poi le prime 3 pagine del primo capitolo. Quand’ecco che il maledetto paragrafo fa la sua comparsa.
Lo leggo la prima volta e mi rendo conto di non averci capito niente. Provo ancora e ancora, finché alla quarta volta riesco nell’impresa alla quale ogni studente degno di chiamarsi tale arriva quando si ritrova a dover decifrare un testo d’esame: riconoscere le parti salienti del discorso, cancellare quelle inutili e rielaborare. Il primo prodotto di tale impresa è questo: «Petrarca, buga buga, bla bla bla antichi codici, yadda yadda umpalumpa sgnaggallatta shakkallakkamuddafakka, bla bla bla umanistica».
Meglio rileggere va’. Il secondo risultato è molto più convincente del primo: «Il Petrarca, per le assidue e fortunate indagini alla ricerca di antichi codici, merita senza dubbio il titolo di iniziatore della filologia umanistica. Il suo lavoro, concentrato su opere latine e questioni testuali, codicologiche e paleografiche, era rivolto alla miglior conoscenza delle opere già note e al recupero di quelle scomparse».
Molto meglio, nevvero?! Ma diamo un’occhiata al terzo risultato dell’elaborazione: «Il Petrarca, per le assidue e fortunate indagini alla ricerca di antichi codici, merita senza dubbio il titolo di iniziatore della filologia umanistica». Finalmente ci siamo. Mission accomplished!
Perché togliere tutto il resto? Per la sua inutilità. In poche parole: se mi dici che Petrarca è da considerare l’iniziatore della filologia umanistica, perché spiegarmi tutto quello che faceva se il lavoro di un filologo me l’hai già spiegato nell’introduzione? Mistero degno di Emilio Fede. Perché solo chi è Fede e lecca deretani può arrivare a capire certe cose (sto divagando, lo so).

Alzo lo sguardo e mi accorgo che è già ora di scendere dal bus. Tempo venti minuti e sono al bar universitario a fumare una cicca insieme a Luca e Barbara, il ché vuol dire una decina di minuti a parlare di film prima di cominciare il mio lavoro in biblioteca… optimus! Ed è proprio in quest’ultima che la giornata ha trovato il suo culmine in idiozia. Andiamo con ordine.

Sono seduto alla scrivania, quand’ecco un professore entrare in biblioteca tutto trafelato. Mi spiega, per metà a gesti e per l’altra a frasi sconnesse in stile essere subumano, che tal opera in quattro volumi del tal autore del tal anno del tal editore e con tal collocazione non si trova più.
Immaginate la mia espressione? Ecco… di più. Non riesco a credere a ciò che sento. Gli chiedo maggiori spiegazioni, solo così riesco a fargli uscire dalla bocca piccole e piccole frasi di senso compiuto… più o meno così: «Nell’ufficio accanto al mio dovrebbe esserci tal opera di tal autore di tal anno di tal editore e con tal collocazione. Ho guardato nell’armadio e non c’è più. Sono quattro volumi molto vistosi. Non si possono dare via perché sono solo da consultazione. Non riesco a capire come abbiano fatto a sparire».
Lo tranquillizzo fin da subito subito, chiedendogli di ripetermi l’esatta collocazione dei volumi e che appena avrò sistemato i rimanenti fantasmini sulla scrivania mi sarei occupato del caso.
Ho chiamato Chi l’ha visto?
Ho chiesto aiuto a Horatio Caine e ai suoi occhiali da sole?
Ho pregato affinché dio inviasse presso di me Don Matteo?
No… ho indossato una parrucca bionda e un vecchio vestito da vecchia-vecchiaI’m FletcherMrs. Fletcher!

(n.b. l’ascolto del video è funzionale alla lettura del post!)

Come un’ammuffita scrittrice-indagatrice-portasfiga-incapace-di-pensare-ai-cazzi-propri mi metto a scartabellare l’intero archivio cartaceo dei libri ancora in prestito. Bene, tra professori e studenti non ce l’ha nessuno e sembra proprio che le regola della consultazione sia stata rispettata. Perfetto.
Entro nella scena del crimine, e due cose attraggono la mia attenzione: la luce è spenta e una scala a quattro gradini è sistemata affianco dell’armadio. Noto subito che la scala, per posizione-forza-del-vento-gittata-impronte-digitali punta verso un’anta sulla quale è affisso un cartello riportante la scritta “ROM ITA CONS B”. Controllo il bigliettino in mio possesso… la collocazione dei volumi scomparsi sarebbe “ROM ITA CONS A III 89” (incredibile, la ricordo ancora XD). Qui gatta ci cova.
Comincio ad aprire ad una a una le varie ante, scorrendo velocemente i vari numeri di serie, ma senza trovare quello che cerco. Intanto arriva anche il professore a farmi compagnia e comincia a dirmi che non è sicuro di aver guardato bene in qualche anta.
All’improvviso la folgorazione. Con uno scatto sono in piedi e apro l’anta più in alto che riesco a trovare di fronte a me.
Eccoli lì, i 4 volumi…

La faccia del prof è una di quelle che mi ricorderò per tutta la vita. Tra lo sbalordito e il consapevole di aver fatto una figura di merda.
Richiudo le ante e gli dico che non deve preoccuparsi, un altro caso risolto per Mrs. Fletcher!

signoragiallofinale

 

E.


L’immagine di testata è un estratto preso centralmente di San Girolamo nello studio di Antonello da Messina (1474-75) e conservato presso National Gallery, London.
1. Bruno Bentivoglio, Paola Vecchi Galli, Filologia Italiana, Bruno Mondadori Editori, Milano, 2010, p. 11

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