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In fila alla cassa funzioniamo tutti come le lampadine a incandescenza, boccheggiamo come pesci rossi nella boccia insidiata dal gatto, non prendiamo neanche in considerazione di fidarci della cassiera e della vita. Forse neanche dei suoi figli, dei sorrisi della parrucchiera o del “ci vediamo” di tuo fratello. Cose svalutate, riciclate, fatte con lo stesso stampo. E siamo sempre in fila, in fondo, il problema è quello, per qualcosa o per qualcuno. Mentre proviamo ad adattarci tutto cambia, mentre proviamo a credere vengono a smentirci la fiducia che avevamo azzardato. Così ci riempiamo di macchie mentre proviamo a toglierne delle altre, il sabato sera ci vengono in mente le cose più ciniche e tristi che ci hanno detto i gesti delle persone che ci hanno allontanato. E magari ti sei sentito amato come le mosche ma comunque c´eri affezionato, all´idea, che per un po´non dovessi stirare nulla e tutto andasse avanti senza grinze. Nessuno dice niente, gli occhi cercano appigli inverosimili, qualcuno sbuffa e qualcuno pesa e definisce le cose “troppo” per per tenerle su, chi guarda la lentezza della cassiera con un moto di rabbia, chi si fa i calcoli di quanto spenderà, illuminati elettrici ripercorrono le tappe stravolte e fotografate della vita come in un istante.
Pensiamo ai conti in sospeso, alle cose rimaste che non abbiamo il coraggio di cestinare, al buio anticipato dell´inverno che ci frega l´umore. In un moto d´entusiasmo ci incontriamo, ci bombardiamo e ci arrendiamo. Ci facciamo attirare dalle scariche affettive, il tuo colpo di fulmine, dagli orgasmi, dalle foto facili, dalle distanze di sicurezze non obbligatorie, dalla forza di spazi riempiti. Ancora impreparati al giro di boa disperdiamo l´elettricità che ci attraversa.
Ci vorrebbe un ministero dell´interno per gestire il nord e il sud che siamo diventati. Ci vorrebbero i fogli Excel per calcolarci e qualche album fotografico in più a tenerci insieme. Ci vorrebbero i fulmini numerati tanto per farvi vedere che ci diamo da fare. Noi, con le nostre liste, le cose da fare, da comprare, da completare o da lasciare fuori per mancanza di risorse di tempo, di speranze, di ragioni. Io scrivo come i medici e dopo interpreto la mia scrittura sulle cose che riguardano me e parlano di te, tu aspetti sempre qualcosa, a volte disegni, ma più che altro divaghi con la penna mentre stai al telefono.
Ed é come un addio ogni volta che ci incontriamo, che scansiamo le cose per riavvicinarci, che basta volere, mentre aspetti qualcosa. Ma cosa. Ed é come un addio felice, ufficioso, da scartare solo al prossimo natale, ed é un addio già disabitato, con un metà spaiata come quel calzino scomparso nel viaggio a Londra. Un piccolo contatto che illumina cieli di occhi, scariche non quantificabili come la bellezza del Duomo, che percorrono questi parafulmini che siamo, davvero attrezzati, davvero efficienti, davvero pronti a sfidare i temporali.
Mischia le file, assegniamoci una crisi tanto cadremo sempre in piedi, iniziamo una nuova lista. Non sono tornato, io sono andato.
Più che altro scarichiamo a terra a diciotto chilometri queste scorie, questo triste amore polare, queste fermate a cui non ci siamo fermati, ripetendo una canzone che non abbiamo capito, una corrente che non abbiamo mica capito.