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Parco archeologico chiese rupestri di matera: murgia e timbri del pane

Creato il 01 aprile 2014 da Postpopuli @PostPopuli

 

di Mariantonietta Sorrentino

Parco archeologico Chiese rupestri di Matera: la Murgia e timbri del pane

Oltre alle Murge, subregione pugliese corrispondente a un altopiano carsico di forma quadrangolare, esiste una Murgia lucana situata all’estremità orientale della Basilicata, vicino al confine con la Puglia. L’uomo l’ha popolata sin dai tempi preistorici, con stazionamenti risalenti al Paleolitico fino all’epoca Neolitica. Prova della sua valenza è l’aver istituito un Parco apposito, nel cui territorio insiste la Gravina di Matera, profondo solco calcareo sul fondo del quale scorre l’omonimo torrente che, dopo aver costeggiato i Sassi di Matera e sfiorato l’abitato di Montescaglioso, sfocia nel fiume Bradano dopo circa venti chilometri.

Si tratta del Parco archeologico storico-naturale delle Chiese rupestri del Materano che si esibisce forte di masserie e di un paesaggio unico nel suo genere connotato dalla presenza di circa 150 chiese rupestri disseminate lungo la Murgia e le Gravine. Insieme a queste testimonianze artistico-religiose convivono realtà come le masserie che rendono concreta visivamente la civiltà agraria autentica ed antichissima della grande proprietà terriera. La masseria rappresenta il fulcro di un’organizzazione imposta gerarchicamente e rimasta immutata nel corso dei secoli con i vari locali di servizio e un’economia agraria condotta con mano d’opera fissa e avventizia in un sistema colturale uniforme che poggiava il suo divenire sull’alternanza della cerealicoltura con il pascolo. Una agricoltura estensiva integrata si amalgamava con l’allevamento bovino ed ovino legato alla transumanza verso i monti interni della Lucania.

 

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C’è un oggetto, e forse più d’uno, che coniuga questi due aspetti dell’economia meridionale: il timbro del pane.

Simbolo più efficace di questa passata realtà dal fascino ineludibile, è l’incarnazione stessa dell’arte pastorale della murgia materana.

Come nasce è presto detto. Creati dai pastori, venivano lavorati soprattutto durante il pascolo degli animali allorquando la solitudine, unita alla lontananza da casa, li spingeva a liberare le proprie emozioni e i propri pensieri nella realizzazione dei marchi da pane, delle conocchie, delle stecche da busto e di altri oggetti di legno.

Anche i massari e i contadini realizzavano i timbri per il pane ma, a differenza dei pastori, le creazioni di questi ultimi erano molto meno ornate e decorate e puntavano a essere semplicemente funzionali. E se i timbri riproducono gli archetipi dell’arte pastorale, i soggetti realizzati sulle impugnature sono classificabili in quattro categorie: a simbologia umana, animale, fallica e d’ispirazione oggettistico-architettonica. Al di là da questa classificazione, i riferimenti iconico-decorativi più comuni rinviano spesso all’idea e alla concezione della fecondità, dell’abbondanza e della prosperità associate a particolari anatomici femminili (seno e ventre), alla figura umana completa o alla raffigurazione di determinati animali (come la gallina) ai quali viene riconosciuta la stessa capacità di “generare”.  Ecco allora le immagini del gallo, del cane, la figura maschile, il gendarme, ovvero simboli di virilità con funzione protettiva del nucleo familiare privato del capofamiglia durante il periodo della transumanza. Tali manufatti erano realizzati prevalentemente con la tecnica dell’intaglio. Oggi si è aggiunta la tornitura. I legni utilizzati sono: il noce, l’arancio, il mandorlo, il castagno, il faggio, la quercia (roverella), l’acero, il ciliegio e il legno più tipico del posto cioè l’ulivo.

La forma dei timbri prevedeva la divisione in tre sezioni: la base (con le lettere in rilievo) per incidere la pasta lievitata, la parte centrale a sviluppo verticale che fungeva da manico su cui era scolpito l’elemento decorativo e l’apice (non sempre presente) costituito da elementi di ornato che completano la decorazione del manico.

La tradizione dei timbri accompagna le comunità della Murgia fino agli anni ’50 del ‘900 quando, impastato il pane in casa, veniva consegnato ai garzoni dei forni per la cottura non prima di aver timbrato ciascuna forma per distinguerla da quelle delle altre famiglie. Quando l’uomo più anziano di casa veniva a mancare il timbro veniva bruciato e sostituito da un altro pezzo decorato allo stesso modo, ma con le iniziali del nuovo capofamiglia.

Il timbro del pane era anche utilizzato come pegno d’amore, offerto dal pretendente alla donna amata. Lei lo conservava se era consenziente, viceversa lo restituiva. Il timbro poteva anche venire spezzato se si interrompeva burrascosamente un’intesa.

Oggi ci seducono questi simboli di un passato arcaico che legava l’uomo alla terra che gli dava sostentamento e scandiva le giornate. Prepotenti messaggi emanano da questi legni intagliati, incarnazione di un tempo di transumanze e forni comuni quando il profumo di una panella nuova era la festa della casa. Riusciremo a riappropriarci di questo passato essenziale e semplice che si  affaccia con il suo fascino?

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