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Parenti serpenti (1992)

Creato il 06 gennaio 2016 da Af68 @AntonioFalcone1

1Sulmona, Abruzzo, vigilia di Natale.
L’anziana Trieste (Pia Velsi), casalinga ancora lucida ed energica e il consorte Saverio (Paolo Panelli), ex carabiniere, il quale accusa invece qualche segno di demenza senile, sono pronti ad accogliere i loro figli per trascorrere come ogni anno le festività natalizie tutti insieme: Lina (Marina Confalone) con il marito Michele (Tommaso Bianco) e il figlioletto Mauro (Riccardo Scontri); Milena (Monica Scattini) e suo marito Filippo (Renato Cecchetto); Alessandro (Eugenio Masciari) con la moglie Gina (Cinzia Leone) e la figlia Monica (Eleonora Alberti); Alfredo (Alessandro Haber), scapolo. La vigilia, fra qualche pettegolezzo, il consueto cenone e la tradizionale messa di mezzanotte, scorre lieta e festosa, l’affetto e la bontà sembrano scorrere a fiumi così come il buon vino a tavola, almeno fino a quando nel corso del pranzo di Natale mamma Trieste comunicherà ai suoi figlioli una notizia inaspettata: considerando l’età avanzata di lei e Saverio, ma soprattutto il declino mentale di quest’ultimo, sarebbe loro intenzione trascorrere quanto gli resterà da vivere insieme ad uno dei figli.
Per il “disturbo” colui che sarà prescelto riceverà in dono la casa e metà della pensione. Quanto basta per far riaffiorare screzi e dissapori finora tenuti nascosti dal velo dell’ipocrisia e del perbenismo di facciata. La decisione che verrà presa dall’affettuosa progenie sarà quantomeno drastica …

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Diretto da Mario Monicelli nel 1992, collaboratore alla sceneggiatura di Carmine Amoroso, insieme a Suso Cecchi D’Amico e Piero De Bernardi, Parenti serpenti rappresenta la coerente lucidità del regista nel sezionare i vizi privati e le pubbliche virtù di un’ Italia che non gli andava a genio, in particolare man mano che venivano accantonati i valori di un tempo senza che qualcosa di valido apportato dalle nuove generazioni potesse sostituirli, magari attingendovi come fonte ispiratrice. I toni all’interno delle sue realizzazioni sono sempre stati amari, sottolineati da un certo cinismo e da un umorismo beffardo, ma senza alcun tipo di compiacimento o pacche sulla spalla in odor di autoassoluzione, caratteristiche che si ritrovano in Parenti serpenti, anche se la voce narrante del bambino che ci accompagna nella introduzione della vicenda a partire dai titoli di testa fino al tragico finale sembra voler addolcire l’asprezza che avvolge il racconto, affidando all’innocenza e alla spontanea intuizione di un fanciullo un minimo segnale di speranza.

Monica Scattini, Alessandro Haber ed Eugenio Masciari

Monica Scattini, Alessandro Haber ed Eugenio Masciari

Monicelli ci conduce fra le vie della città di Sulmona indagandone attraverso la visuale della macchina da presa luoghi caratteristici, situazioni e gli abitanti più noti per poi giungere all’abitazione che costituirà il proscenio dei vari accadimenti dalla vigilia di Natale fino all’ultimo dell’anno. Il regista asseconda un’impostazione teatrale, lascia che gli ottimi interpreti (con una menzione particolare per Panelli, Marina Confalone e Monica Scattini), possano muoversi con una certa naturalezza, esprimendo al meglio le caratteristiche proprie dei personaggi.
Bastano poche inquadrature, piccoli movimenti della macchina da presa, a farci intuire, ancora prima che venga allo scoperto, ogni scheletro nascosto nell’armadio, così come sono palesi i segnali di una società profondamente minata nei costumi e nei rapporti sociali, visto l’agitarsi di spettri in forma di inveterate consuetudini “politiche” (il posto fisso garantito dalla ormai classica “segnalazione”) o malanni quali ansia e nevrosi, oltre che devianze alimentari perpetrate dai ragazzini, che nascondono varie problematiche e latenti conflittualità genitoriali.

Eleonora Alberti, Marina Confalone, Paolo Panelli, Renato Cecchetto

Eleonora Alberti, Marina Confalone, Paolo Panelli, Renato Cecchetto

Da rimarcare al riguardo, siamo agli inizi degli anni ’90, il personaggio dell’adolescente Monica, su cui aleggia l’influenza della televisione come nuovo mezzo veicolante il noto quarto d’ora di celebrità, nella insita speranza che perduri vita natural durante. D’altronde i ritmi della giornata appaiono scanditi dalla tv costantemente accesa, mentre lascia sgomenti l’esteriorità, sempre più evidente via via che la narrazione procede, nel perseguire tradizioni familiari e religiose, la quale si rende buona compagna al divertimento omologante delle feste di gruppo (lo sguaiato cenone di fine anno, oppiaceo dispensatore di frizzi e lazzi d’ordinanza). La stessa messa di mezzanotte, preceduta da una passeggiata nel corso della quale i cari figli passano al setaccio tutte le vicende che hanno “dato notorietà” ai cittadini più in vista, nella sua solenne cerimoniosità appare vacua, inerte, così come l’omelia di un sacerdote in veste di svogliato facente funzioni.

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Monicelli però sembra però non voler giudicare o farsi facile ideologo, prende semplicemente atto che la nostra società, orfana di tutti i valori positivi, può essere soltanto descritta e visualizzata.
Preferisce mantenere una certa distanza dagli eventi narrati e predilige uno stile piuttosto essenziale, cavalcando la farsa e il grottesco, attraverso il quale veniamo invitati a compiere un percorso ben congegnato, uno spietato crocevia di situazioni tanto liete, quanto profondamente tragiche, fra un sorriso e più di una riflessione su ciò che siamo stati e quello che siamo diventati, ma, soprattutto, su ciò che non siamo stati in grado di divenire, bloccati da un gretto egoismo nel ricercare un benessere a partecipazione limitata.


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