Qualche giorno fa ho partecipato ad un convegno molto interessante in materia di pari opportunità.
Avvocati, magistrati, notai, commercialisti, docenti universitari, consigliere di parità, imprenditrici, amministratori delegati, tutti a confronto.
Da qualche anno ormai sentiamo parlare spesso di pari opportunità, leggiamo di recenti normative che tutelano più che adeguatamente le donne. Basti sfogliare il cd. CODICE DELLE PARI OPPORTUNITA’ (introdotto dal decreto legislativo n° 198/2006, modificato nel 2010) il quale, dopo un lungo iter normativo, ribadisce il divieto di discriminazione tra uomini e donne e riconosce il paritario contributo delle donne nello sviluppo sociale e politico dello stato.
Ma basta l’ enunciazione di tali norme? E qual è l’effettività di queste norme nella vita pratica ?
Prendiamo la realtà italiana e confrontiamola con la vicinissima Francia che, ad esempio, ha un tasso di natalità elevatissimo rispetto al nostro ( seppur aiutati dalle plurimaternità delle donne immigrate).
Perché in Italia nascono pochi bambini?
Perché in Italia una donna o lavora o fa la madre e la moglie.
Esclusi pochi privilegiati casi di donne lavoratrici ed in carriera grazie all’ausilio di personale domestico altamente remunerato, la realtà italiana è praticamente ferma a mezzo secolo fa.
Certo, sulla carta le donne italiane possono accedere a ruoli professionali e carriere che solo qualche decennio fa sognavano (si pensi che negli anni 60 ancora non erano ammesse al concorso in magistratura). Certo, con la creazione delle cd “quote rosa” ( o di genere) hanno addirittura diritto di accesso “riservato” in politica o nei consigli di amministrazione delle società. In realtà poco o nulla è cambiato.
La differenza è che oggi, pur potendo potenzialmente accedere ad alte cariche, troppe donne ci rinunciano o si autoeliminano, perché il carico della gestione familiare, e in particolar modo dei figli, è ancora tutto sulle loro spalle.
Affinché le donne possano effettivamente ricoprire i ruoli a cui aspirano, è necessaria una diversa gestione dei rapporti familiari.
Serve che si comprenda che le pari opportunità non sono semplicemente norme create per tutelare una categoria inferiore e debole, bensì per il bene della collettività.
Serve una svolta sociale e culturale, che renda tutti consapevoli che questo Stato ha urgentemente bisogno di asili nido a basso costo, di assistenza medico-psicologica e di un sistema scolastico idoneo a garantire un valido supporto alle madri lavoratrici, di trasporti efficienti, di strumenti di connettività avanzata che consentano alle donne, fisicamente assenti durante la gravidanza e l’allattamento e/o durante i primi anni di vita dei propri figli, di continuare a svolgere regolarmente il proprio lavoro.
Perché il lavoro svolto da donne competenti è un bene della collettività. Perchè fare figli è un bene della collettività.
E’ necessario comprendere anche questo perché gli strumenti normativi non restino più dichiarazioni d’intenti ma siano applicabili alla vita reale.
Profilo di Daniela Brizzi
Nata a Napoli nel 1972. Laureata in giurisprudenza, avvocato, esercita la professione da dieci anni. Coltiva da sempre una grande passione per la lettura, la scrittura e la tutela della famiglia e delle donne.
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