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Tra i film più bistrattati e sottovalutati del grande regista polacco, “Amour braque” è l’ennesima operazione cine(frene)tica con cui declinare uno sguardo: Zulawski segue fino alle viscere i suoi personaggi, li riprende vorticosamente nel loro sprofondare in quel baratro senza via d’uscita, in quell’aporia liquida dove annegano sogni erotici e desideri perversi: ed è ancora una volta l’innocente, il vergine, il malato a essere troppo puro in un mondo che si è fatto abisso. E’ lui il primo a sprofondare nelle voragini perverse ed oscene del nulla, a divenire incapace di controllare il proprio corpo, le proprie mani, la propria voce perché ormai vittima di un gioco, quello cinetico della passione irresistibile e dell’omicidio quotidiano. In lui si consuma una lotta tutta interiore che non può che estroflettersi nei movimenti, nei gesti di un corpo spasmodico e posseduto, sempre in balìa di quell’altro da sé che oscurerà la ragione. L’eroe è quindi l’Idiota che vede il mondo con gli occhi del lupo, dimentico della parola, tutto proteso a ululare nella catastrofe dei cuori spezzati. E poi ci soni i fiumi di lacrime che versa il personaggio della Marceau, musa bellissima e sfrenata, desiderio dilaniante e incontenibile, demone romantico che non può (più) esser salvato. Dimentichi della pietà siamo già nei territori del grottesco, che ha trasformato le tragedie umane in una nuova, terribile commedia: inseriti in una dimensione puramente estatica gli attori, modelli teatrali, sono in preda alle convulsioni di un corpo agito dal di dentro, di un corpo che si lascia vivere, di un corpo che si lascia muovere.
Ed ecco allora una liberissima trasposizione del capolavoro dostoevskiano ai tempi della Parigi balorda degli anni ’80: ancora una volta si ritrovano un ordine e un rigore precisi nel caos zulawskiano (ogni caos ha le sue regole d’altronde, simmetrie, scalinate e discese che ritornano sempre nelle opere del regista).
Ci troviamo di fronte a una sorta di musical bestiale, dove le sparatorie diventano coreografie di corpi e proiettili, tra sangue, saliva ed epilessia: protagonista l'amore selvaggio, viatico privilegiato per la follia. Danza macabra e apocalittica, si balla sui cadaveri, si canta sul sangue, si sputa sulle labbra, si urla e poi si fa l’amore. In un mondo che si configurava come videoclip esploso e violento, basta rivedere l’incipit per rendersi conto che “L’amour braque” era già (oltre) la fine.
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