Parigi, Cesare Cremonini e la celebrazione della vita

Creato il 15 novembre 2015 da Trescic @loredanagenna
“L’amore, soltanto l’amore può farci guarire.”
Applausi.
Commozione.
C’è un punto di Figlio di un re, una delle più belle canzoni di Cesare Cremonini che recita questi versi. Poco prima, in una sorta di elenco universale delle possibili origini di un uomo, lo stesso brano recita “che tu sia Dolce o Gabbana/ tu sia figlio di una Guerra Santa/ giusta o sbagliata”.
Un passo indietro.
La giornata si è aperta nel peggiore dei modi. Su Milano aleggia la nebbia, ormai rara, rarissima. Una nebbia che ha reso ancora più denso il silenzio dei nostri cuori, storditi dalle notizie che ci arrivavano da
Parigi. Notizie di morte, di massacro, di mattanza. Una mattanza arrivata nei luoghi dove la gente, i giovani soprattutto, vanno a divertirsi, a vivere, una sala da concerti, lo stadio, ristoranti etnici. La morte laddove dovrebbe esserci vita. La musica è finita, mi è venuto in mente, hanno vinto loro, i terroristi, ci hanno infuso la paura.
Ieri era il compleanno di mia moglie. Difficile festeggiare se intorno si piange la morte. Ma l’unico modo per cacciare la morte, la paura, è la vita. L’unico modo per cacciare l’odio è l’amore. L’unico modo per cacciare l’oscurantismo fondamentalista è l’illuminismo. Per cui, visto che di morte ieri ce n’era anche troppa, ho deciso di cacciarla celebrando la vita. E di celebrare a esattamente nello stesso modo in cui i terroristi hanno celebrato la morte, andando a un concerto.
Io, mia moglie e i miei due figli grandi siamo andati al Forum di Assago al concerto di Cesare Cremonini, seconda tappa milanese del
Più Che Logico Tour 2015.
Tappa difficile, difficilissima, perché cantare, celebrare la vita, in certi momenti è compito improbo, quasi epico. L’atmosfera, prima dell’inizio è serena, ma i controlli sono stati maggiori del solito, le bandiere francesi che campeggiano sui maxischermi, le chiacchiere dei presenti, l’occhio che ogni tanto corre allo smartphone per gli ultimi aggiornamenti da Parigi fanno il resto.
Poi si spengono le luci, inizia lo spettacolo e comincia quella che un tempo avrebbero chiamato, a ragione, catarsi. Niente a che vedere col cinico The show must go on, anche perché tra gli ultimi aggiornamenti sono tante le notizie di tour e concerti saltati, dai Foo Fighters agli U2.
No.
Cesare Cremonini si fa carico di indossare i panni del performer, panni che veste con una naturalezza prodigiosa, e si fa sacerdote di una messa laica, e mai come oggi laicità è parola Santa, per celebrare la vita. Lo dice anche, a tre canzoni dall’inizio. Dice delle difficoltà di salire su quel palco, oggi, e dice che è la vita il solo modo per farcela, la vita e la presenza del pubblico, della musica.
Lo spettacolo è incredibile. Fosse anche per una retorica non esibita, forse, ma di certo Cremonini non si risparmia, canta, balla, suona, si muove con una padronanza da showman navigato, intrattiene, comunica. Le canzoni, perfette come su disco, dal vivo assumono sfumature ulteriori, gareggiano con le pari straniere, e spesso vincono. Pop, certo, ma come lo sono i Coldplay, come in parte lo erano anche i Queen (se devo pensare a un performer capace di tenere su di sé gli occhi di una folla con la stessa naturalezza è proprio a Freddi Mercury, che penso). In scaletta anche un brano come Maggese, assente nei suoi live da anni, gioiello beatlesiano che il tempo ci ha di nuovo regalato.
Ma il momento più alto è quando Cesare, solo al pianoforte, fa Figlio di un re. Forse la sua migliore. O una delle sue migliori. Una delle migliori del nostro repertorio di sempre.
Voce e piano.
Quando arriva il passaggio citato in esergo, “Che tu sia Dolce o Gabbana/ figlio di una Guerra Santa” Cesare cambia testo. la Guerra Santa non è più “giusta o sbagliata” ma “sempre sbagliata”. Non può che essere così, oggi. Senza retorica. Con la pancia. Con la testa. Col cuore.
Parte un applauso, da qualche parte del Forum.
Cesare continua a cantare. l’applauso cresce.
Diecimila persone si uniscono. Gli occhi lucidi. Anche i miei. Pensiamo, tutti, ai caduti di Parigi. Io penso anche al mio collega Guillame B. Decherf, di Les Inrockuptibles, morto al Bataclan. Giustiziato, dicono i giornali, tirando in ballo una parola che oggi non dovrebbe essere neanche evocata. Il ritornello di Figlio di un re dice, “Soltanto l’amore può farci guarire”. Lo cantiamo tutti, Cesare e noi. Soltanto l’amore può farci guarire. Sì.
Finisce la canzone e sugli schermi appare il logo della Pace con la Torre Eiffel al posto del solito simbolo. Un’idea di Banksy. Un minuto di applausi e silenzio.
Poi riprende lo show, riparte la vita. Un grande show. Cesare Cremonini, ce ne fosse bisogno, si dimostra un artista vitale, vero, di gran classe. I suoi classici ci sono tutti, o quasi. Le sei e ventisei, sia messo agli atti, ha il più bel ritornello degli ultimi venti anni di musica italiana. Tutto bello. La gente lo segue.
La retorica, quella che oggi non può essere lontana, né può essere guardata con scherno, viene allontanata. La musica la scansa. La musica che ci pervade e ci fa battere il cuore.
Sembriamo tutti felici.
Magari non lo siamo, e non lo sarà neanche lui.
Ma siamo vivi.
Sì, la celebrazione della vita ha avuto luogo. Siamo vivi. L’amore ha vinto l’odio, fuor di retorica. Ha vinto la vita. Abbiamo vinto noi. The post Parigi, Cesare Cremonini e la celebrazione della vita appeared first on Il Fatto Quotidiano.