Riflessi acquerello e mendicanti d’arte. Città risvolta in mille coperte. Impressioni da impressionisti. Cartoni, pennelli, lembi, stoffe, ritagli, tempere. Passi di colore e linguaggi di luce. Binari in disuso che fondono lancette senza tempo. Musee d’Orsay. Siamo nel cuore della capitale francese, laddove una vecchia stazione ferroviaria raccoglie la più imponente esposizione d’arte impressionista al mondo. Lo stile Liberty degli spazi contribuisce ad incorniciare le opere in un un’unica e profonda volontà espressiva, da Art Noveau. L’orologio che sovrasta la struttura è il simbolo del museo. Il suo stile floreale domina tutta la superficie espositiva. Tra i più importanti luoghi d’arte, in una delle più importanti città d’arte, al mondo. Parigi. Decadenza e bagliori. Trasposizione di sofferenze intellettuali per sguardi che non vogliono memoria. Il cuore parigino inscena alla perfezione la coerenza delle contraddizioni. Poveri, ricchi, immigrati, artisti e mendicanti. Questa è l’unica città del mondo in cui anche i senzatetto trafugano spiccioli di cultura. O almeno questo è uno dei pensieri che resta della mia visita parigina… Sembra il tremore che si dimena come una mareggiata, sommerge roccia e sabbia fin poi calmarsi per donare solo la carezza delle onde. Una sequenza in continua contrapposizione. Monete, ciotole, affanni. I letti contenuti dagli argini della Senna. Il lusso che violenta l’altro lato della strada mentre da qui si vive di sole tasche vuote. Un singhiozzo, quattro pagine incartocciate e un sorso di cultura che svuota tutto intorno. Due occhi che sbucano da capelli azzuffati per confondersi alle righe di un libro. La città scolora mode e fasti per concedere l’unico raggio di luna alle sue pupille umide. Quali sono i veri poveri? Me lo son chiesto davvero tante e tante volte…
Le gallerie del Museo D’Orsay raccolgono impressioni e storie di vita. Quadri stupendi che ricordano pennellate e perfette imperfezioni. C’è Monet, Van Gogh, Bonnard, Gauguin, Manet, Cezanne, Degas…. Viste che appagano. Angoli che affidano il cuore a soffici trasposizioni emotive. Davvero un bel vedere. Che merita. Senti condensarsi in acque lucide le storie degli artisti. Gioco di riflessi. Ipnotici. Brezze rivolte senza resistenza. Leggere. Per ricordarti il chiaroscuro dell’animo umano, nei suoi bisogni di amore e calore, nei suoi abbagli. Tratti che si sgocciolano al sole come i quartieri di periferia. Parigi e i suoi colori, Parigi e i suoi artisti. Cosi la visione si riempie d’immagini. Un quadro dopo l’altro per sorseggiare stili, tormenti ed emozioni, poi si sale all’ultimo piano, laddove sono riposti i veri capolavori. Forze espressive che vengono scoperte ad ogni passaggio. Figure rivestite di riverberi, contraccolpi dallo stomaco in su. Emozioni sciolte in una manciata di sogni ad occhi aperti. Spendo solo due parole per l’opera a cui più tenevo. Ninfee Blu – Claude Monet. Neutralità e libertà. La tela, incompiuta ai bordi, non vuole dar riferimento. Vuole farti estraniare dall’universo esterno. Con l’unico chiaro messaggio di non darti messaggi. Una superficie riempita di colori che obbliga lo spettatore ad un continuo sforzo visivo…. Per mettere a fuoco il blu illimitato. E per un attimo ti ritrovi in un mondo senza confini… Il quadro di Monet è solo una delle opere di rilievo, le stanze ne sono ricolme. La visita scorre gradevolmente tra le mille pennellate. D’un tratto, poi, perdo lo sguardo in uno scorcio di finestra per notare un mondo, stavolta, senza tempo. Un mendicante raggomitolato in un cartone, si appoggia al muro con le gambe avvolte in una coperta; ha capelli lunghi e grigi, una folta barba grigia e un’età indefinita. L’aria si impantana in un respiro e le lancette dell’enorme orologio sembrano ferme da secoli. Stringe tra le dita un libro che mi riporta alla mente La Leggenda del Santo Bevitore di Joseph Roth: <<il mendicante non può aver memoria>>. La stessa memoria che regala emozioni all’arte, si ritrova scalciata come una lattina sul ciglio di una strada.
Shantaram
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