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Parisse capitano, il Sei Nazioni, Botes e le franchigie: ecco l’Italia di Brunel

Creato il 04 gennaio 2012 da Ilgrillotalpa @IlGrillotalpa

Parisse capitano, il Sei Nazioni, Botes e le franchigie: ecco l’Italia di BrunelDomenico Calcagno per Il Corriere della Sera

Scusi, signor Brunel, adesso che ha cominciato a conoscere il rugby italiano non si è pentito del suo pronostico di un paio di mesi fa: provare a vincere il Sei Nazioni entro tre anni e piazzarsi tra le prime sei alla prossima Coppa del Mondo? «Per niente. Se l’ho detto è perché ne sono convinto. L’Italia è una squadra che ha tanta esperienza, ma ancora qualità da valorizzare. Con uno spirito diverso, un gioco più equilibrato e qualche giovane di valore in più si può salire molto. E poi…». Prego. «Al primo raduno ho detto ai giocatori che non sono venuto qui per finire sempre in fondo al Torneo. Non è questa la mia ambizione».
Jacques Brunel arriva da lontano. Da Courresan, un paesino del Midi Pirenei che non arriva a 400 abitanti nel mezzo di una regione ad altissima densità rugbistica. Il 14 gennaio festeggerà 58 anni, più di 40 dedicati al rugby. Da giocatore fino all’88, poi da allenatore-studioso. Ha vinto due Challenge Cup, col Colomiers nel ’98 e col Pau nel 2000, ha servito per 8 stagioni la nazionale francese nello staff di Bernard Laporte proponendo innovazioni (gli avanti inseriti nella linea dei tre quarti per esempio) che mezzo mondo ha poi copiato, ha vinto il campionato di Francia con il Perpignan nel 2009. (…)
«La struttura c’è: le accademie, le franchigie (Treviso e Aironi), il campionato d’Eccellenza. Dobbiamo farla funzionare al meglio. Ho visto giovani con un grande potenziale, sono la nostra ricchezza per il domani. E ho visto che bisogna migliorare il rapporto tra federazione e franchigie, trovare una complicità».
Ma far andare d’accordo i protagonisti del rugby italiano può essere più difficile
che vincere il Sei Nazioni. «Alleno da 23 anni, il livello di litigiosità del rugby è alto
dovunque, da nessuna parte è facile perché ci sono interessi diversi. Bisogna mettersi
lì con tanta pazienza, parlare, collaborare. Perché alla fine la nazionale e le franchigie
mandano in campo gli stessi atleti e se giocano bene ci guadagnano tutti».
Lo stacco da Nick Mallett a Brunel si annuncia netto. Dal gioco codificato del sudafricano che voleva gente «big, fast and strong» si passa alla ricerca della velocità:
«di decisione, giocatore e pallone». Con Brunel ci sarà più libertà d’iniziativa. «Ho
tre leggi: velocità, scelte e larghezza del campo. Credo che esistano più modi di
giocare un buon rugby. Una squadra deve avere equilibrio, un gioco completo, diverse
opzioni. E deve cercare di vincere». (…)
Brunel comincerà a farci i conti tra un mese esatto, il 4 febbraio, prima partita del
Sei Nazioni allo Stade de France contro la Francia vicecampione del mondo e avvelenata per la sconfitta subita lo scorso 12 marzo al Flaminio. «Sarà difficile, poche
storie. Ma tutto il Torneo sarà difficile. Abbiamo tre partite fuori casa e contro Inghilterra e Scozia giocheremo all’Olimpico. (…) Le mie favorite sono Francia e Galles, però tutti gli anni succede qualcosa che nessuno aveva previsto. È la magia del Torneo. Battere gli inglesi che escono da un Mondiale disastroso? Attenzione, l’Inghilterra è la squadra più fisica, quella che ti lascia più segni addosso il giorno dopo». (…)
Chiarisce però che non ha nessuna intenzione di cambiare il capitano («Sergio Parisse credo sia la persona giusta, se lui è d’accordo non si cambia»), che continuerà a guardarsi in giro per aggiungere qualità al gruppo («Se interessa Tobias Botes il mediano di mischia del Treviso? Certo, tutti i giocatori bravi ed eleggibili interessano») che il cambiamento vero lo si vedrà nella tournée di giugno («Il Torneo lo affrontiamo
col gruppo che ha fatto il Mondiale, c’è poco tempo e poco da scherzare»).
Agli azzurri non chiederà di fare quello che sapeva fare benissimo il neozelandese
Dan Carter, il miglior mediano d’apertura del mondo che Brunel ha allenato a Perpignan («Ha due grandi qualità. Rende facili le cose difficili e sulle 45, 50 decisioni che deve prendere in una partita ne azzecca il 90,95 per cento»), ma di rimettersi in discussione, non accontentarsi e provare a spingersi fino ai propri lìmiti che, lui ne è
convinto, sono tuttora sconosciuti. (…)


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