Mauro Meli, a nove anni dall’addio alla sovrintendenza del Lirico di Cagliari, vuole tornare alla guida.
Perché? “Cagliari è la mia città, perché me l’hanno chiesto in molti e perché mi piacerebbe riprendere un cammino interrotto quando fui chiamato alla Scala”. Meli chiarisce anche il fattore debito: “Non sopporto che si continui ad associare il mio nome al debito del teatro. Dire che la mia gestione sia stata negativa è falso. Chi lo dice è o ignorante, o in malafede o ripete cose che dicono altri e che non conosce. La verità è che abbiamo preso un teatro di serie B e l’abbiamo lasciato in Champions league».
L’ex sovrintendente Mauro Meli parla di successi e debiti «Tornerei nel mio teatro» «Abbiamo portato il Lirico al centro del mondo»
«Sa che cosa non sopporto? Che si continui ad associare il mio nome al debito del teatro. Non è così, e vi spiego perché».
Ora che «un gruppo di amici» lo ha convinto a presentare la sua candidatura per un ritorno alla guida del Lirico a nove anni dal suo addio alla sovrintendenza (per andare alla Scala), Mauro Meli ha voglia di chiarire. Non di polemizzare, sottolinea, ma solo spiegare.
E lo vuole fare anche se la contestata designazione di Marcella Crivellenti al vertice di via Sant’Alenixedda sembra sbarrargli la strada. A meno di una clamorosa, ancorché auspicata da più parti, retromarcia della manager pugliese. Anzi, proprio da questa vicenda parte l’intervista
Maestro, il suo curriculum questa volta non è stato preso in considerazione.
«Mah, credo che non sia stato nemmeno aperto. Né il mio né gli altri».
Che idea si è fatto?
«Nessuna, mi creda, anche perché non conosco il sindaco. Però, in linea di principio, dico che se si fa un bando internazionale in genere si valutano i curricula. Ho letto che hanno partecipato 40 candidati, mi sembra strano che non ce ne fosse nessuno all’altezza e sia stato necessario pescare fuori dalle candidature ufficiali».
Che fa, polemizza?
«Assolutamente no, rispondo solo a una sua domanda».
È possibile che il debito patrimoniale del Lirico, che ha avuto origine durante la sua gestione, abbia condizionato le scelte del presidente della Fondazione?
«Dire che la mia gestione sia stata negativa è falso. Chi lo dice è o ignorante, o in malafede o ripete cose che dicono altri e che non conosce. La verità è che abbiamo preso un teatro di serie "B" e l’abbiamo lasciato in Champions league».
Con un debito patrimoniale consistente.
«Il debito vero, quando sono andato via, era di poco più di 4 milioni di euro».
Sta di fatto che negli anni è cresciuto sino a condizionare pesantemente la vita della Fondazione.
«Innanzitutto bisogna chiedersi se quel passivo è nato perché abbiamo fatto follie o perché abbiamo investito».
Ce lo spieghi.
«Ci sono tre ragioni. La prima è che c’è sempre stata una discrasia gravissima tra la necessità dei teatri di produrre stagioni d’opera, concertistiche, estive e attività nel territorio e la tempistica nella riscossione dei finanziamenti, che spesso arrivavano dopo un anno e mezzo costringendoci a chiedere decine di miliardi alle banche e accumulando interessi passivi pur avendo crediti superiori ai debiti. Un problema che la Corte dei conti ha sempre sottolineato per tutti i teatri italiani».
Le altre cause?
«Beh, gli investimenti, innanzitutto. Quando sono arrivato, nel 1996, il teatro non era agibile. Ci siamo rimboccati le maniche e lo abbiamo completato caricando i costi sul bilancio. La terza causa è che non sono entrate le cifre previste nei bilanci preventivi».
Quali cifre?
«Avevamo previsto l’ingresso nella Fondazione di nuovi soci istituzionali che poi non erano entrati, come il Comune o la Provincia».
Torniamo agli investimenti: avete portato il meglio della musica a Cagliari ma la accusano di aver spesso ecceduto nelle spese per gli artisti. Per portare Carlos Kleiber a Cagliari per due concerti, ad esempio, spese 800 milioni di lire.
«Un investimento importante per portare uno dei più grandi direttori d’orchestra del mondo a Cagliari. Ne incassammo 600 e credo che investire 200 milioni in quella operazione fu una scelta giusta. Che infatti pagò».
Vero, la critica esaltò le stagioni cagliaritane, ma è anche vero che pagavate l’hotel ai giornalisti.
«Bisogna sempre partire da una domanda: dove vogliamo arrivare. Volevano promuovere il teatro e la città e volevamo che più media possibili si occupassero di noi. Abbiamo dato una mano solo a pochi giornalisti di alcune testate che ritenevamo importanti e che non si potevano permettere di pagare l’albergo. Ma di noi parlavano bene tutti, soprattutto quelli a cui non offrivamo nulla».
E la scelta vi premiò.
«In sette anni abbiamo incrementato il budget del 300% e spettatori e abbonati del 600%. Siamo stati il teatro più produttivo d’Italia, abbiamo aumentato del 50% la produzione, avevamo uno dei rapporti residenti abbonati tra i più alti al mondo, abbiamo avuto riconoscimenti enormi dalla critica. I giornalisti importanti non si fanno imporre nulla. Inoltre non ti danno il premio Abbiati (il più prestigioso riconoscimento dei critici musicali, ndr) per la reiterata qualità delle stagioni solo perché paghi l’albergo a un paio di giornalisti».
Perché vuole tornare al Lirico?
«Perché Cagliari è la mia città, perché me l’hanno chiesto in molti e perché mi piacerebbe riprendere un cammino interrotto quando fui chiamato alla Scala».
Milano fu un’esperienza breve.
«Mi chiamò Riccardo Muti e andai via assieme a lui. Fu un’esperienza esaltante ma anche frustrante perché capii di non essere la persona giusta in quel preciso momento storico».
Poi andò a Parma.
«Anche lì è stata una bella esperienza. Abbiamo inventato il Festival Verdi, chiamato i migliori musicisti del mondo, abbiamo fatto 15 tournée in sette anni, riaperto dopo 300 anni il teatro Farnese, uno dei più belli del mondo».
Chi le ha chiesto di rientrare a Cagliari?
«Amici dentro e fuori dal teatro. Ma, sia chiaro, io non voglio governare a dispetto dei Santi: se ritengono che io possa essere utile ne sarò onorato, altrimenti pazienza».
Che rapporti ha con i dipendenti?
«Buoni, a parte una piccola percentuale fisiologica di dissenso. Assieme abbiamo ottenuto risultati eccellenti».
Oggi come governerebbe il teatro?
«Con idee, progetti, rigore, trasparenza. Condividendo i progetti con i soci fondatori e i dipendenti del teatro. Lavorare sulla qualità, grazie al cielo, paga sempre».
Rispetto alla sua gestione cagliaritana è cambiato il mondo.
«Le condizioni economiche non sono favorevoli ma occorre lavorare perché il teatro sia un motore di attrazione turistica, non solo un luogo per cittadini e melomani».
Il parco della musica lo ideò lei. Ora non produce.
«È un potenziale importante. Inoltre mettere a frutto i finanziamenti europei con i quali è stato costruito è un dovere morale».
C’è spazio per sponsor privati?
«Sia pubblici che privati».
Chi?
«Ho qualche idea, ma non mi metta in imbarazzo».
Fabio Manca
Domenica 11 novembre 2012 10:03
Condividi su Facebook.