La storia che sto per raccontare potrebbe sembrare una delle tante, e forse lo è. Sono tante le persone che a causa della crisi hanno tentato le strade più brevi: il suicidio o il delinquere.
“Ho fatto la cosa più facile ma la più sbagliata che mi ha portato in questa situazione.”
La storia di Vincenzo è quella di una persona che ha perso la speranza di vivere, che ha sbagliato perché non è stata capace di vedere la luce alla fine del tunnel.
Premetto che scrivendo queste righe il mio intento non è quello di indossare una toga ed esprimere giudizi, ma il mio ruolo è quello di raccontare storie e mi limito a fare questo.
Vincenzo è catanese, e la sua famiglia è una delle migliaia di famiglie che è stata cacciata dalla Libia di Gheddafi e costretta a cedere i propri beni prima di abbandonare l’Africa.
Nasce in una casa popolare di Catania, ad agosto di una torride estate siciliana, quella del 1969; primo di due figli, Vincenzo cresce con due genitori che hanno dovuto affrontare l’esilio forzato, i viaggi dal nord al sud Italia e la richiesta di una casa popolare che per vari anni è rimasta impolverata su una scrivania del comune di Catania.
Dopo un po’ di tempo le cose sembrano mettersi a posto: la madre inizia a lavorare come centralinista presso lo stesso Comune di Catania e il padre diventa impiegato presso la Usl, Unità sanitaria locale.
Vincenzo dopo la licenza media pensa che sia il caso di aiutare i genitori, decide di abbandonare la scuola e di iniziare a lavorare. Prima come barista poi come custode di un campo di calcio e infine come benzinaio, questo fino al 1989, anno in cui viene chiamato alle armi e spedito a Bologna. Proprio nell’esercito emerge la sua attitudine a quel mestiere, tanto da fare domanda per entrare nell’arma dei Carabinieri, un suo sogno. Ma il tempo di attesa per ricevere una risposta dall’arma dei carabinieri si prolunga e Vincenzo, una volta terminato il servizio di leva è costretto a scendere di nuovo nella sua Sicilia e cercare una nuova occupazione. Con un amico di infanzia cercano lavoro presso una ditta di vigilanza privata, dove, inaspettatamente vengono immediatamente assunti. L’entusiasmo di un lavoro e la possibilità di costruirsi una vita, spingono Vincenzo a fare un passo importante: con la sua compagna aspettano un bambino. Ma proprio quando tutto sembra essersi sistemato, inaspettatamente arriva la risposta dell’arma dei carabinieri: Vincenzo è stato preso e deve trasferirsi a Roma per iniziare a frequentare la scuola dei Carabinieri. Non ci sono dubbi, Vincenzo rinuncia al proprio sogno pur di rimanere vicino alla compagna e al nascituro.
D’altronde le cose sembrano essersi sistemate: c’è il lavoro e c’è la famiglia, anche se iniziano ad emergere dei problemi nell’ambito lavorativo, l’istituto di vigilantes impone turni massacranti, straordinari non pagati e la ronda da fare con la propria auto.
Vincenzo decide di lasciare quell’istituto per iniziare una nuova esperienza con un altro istituto di vigilanza, che è dotato di mezzi propri e che quindi sembrerebbe più affidabile, ma la sostanza non cambia, anzi, le vessazioni sul lavoro si fanno ancora più pesanti quando Vincenzo si inscrive al sindacato. L’amministrazione dell’azienda non fa nulla per nascondere il proprio dissenso, convoca Vincenzo, così come gli altri iscritti al sindacato e li minaccia qualora non si cancellino dal sindacato. Di fronte al rifiuto, l’azienda comincia ad infierire su Vincenzo e su qualsiasi dipendente iscritto al sindacato, addirittura mettendo un lavoratore contro l’altro, dinamica che si verifica troppo spesso.
L’istituto di vigilanza riesce a trovare una scusa per licenziare Vincenzo, ma dopo 17 mesi di battaglie giudiziarie e non solo, viene riammesso al proprio posto di lavoro. Vincenzo è deluso, non crede più alla buona fede e ai diritti sanciti sulla carta ai lavoratori, il reintegro, come si può immaginare, è più duro del previsto, le angherie e le minacce da parte dell’azienda sono ormai quotidianità.
Gli anni passano, l’azienda minaccia costantemente il fallimento ed inizia a ritardare i pagamenti; i dipendenti sono in difficoltà: il mutuo, l’affitto e le spese quotidiane iniziano a diventare un peso, mese dopo mese. È una catena, la ditta non paga i dipendenti e quest’ultimi non riescono a far fronte a eventuali finanziarie, tanto da diventare i cosiddetti “cattivi pagatori”.
Le sfortune non sembrano finire, Vincenzo viene aggredito da alcuni malviventi mentre è in servizio, viene pestato e mandato in ospedale. Da lì in poi, inizia un declino irrefrenabile: arrivano delle spese extra che non fanno altro che destabilizzare ulteriormente la situazione. La moglie di Vincenzo si accorcia le maniche e aumenta le proprie ore lavorative, come donna delle pulizie; esce la mattina e torna a casa la sera; ai figli è difficile dire: “non posso comprarti le scarpe che ha il tuo compagno di scuola”, ma Vincenzo non ha altra scelta. Entra in depressione. Vincenzo dice: “il cuore ti si spezza quando devi negare una cosa del genere a tuo figlio” continua “vedere la tua amata distrutta, con le mani consumate ed incallite è desolante. Si è dovuta sottoporre all’operazione per il problema del tunnel carpale, e non ha potuto fare lo stesso per l’altra mano, perché altrimenti dovrebbe stare a riposo un mese e non potrebbe guadagnare le 20 euro che porta a casa”.
Situazioni imbarazzanti, che aumentano la depressione; a 42 anni ci si vede impotenti di fronte alla propria famiglia. Vincenzo si lamenta della differenza che c’è tra i vari ceti sociali: “vedi politici che prendono milioni di euro al mese, agevolazioni di ogni tipo. Per esempio prendi il presidente della Repubblica che percepisce uno stipendio di centinaia d migliaia di euro. Mi sento veramente preso in giro, lo so che c’è gente peggio di me, ma io davvero non c’è la faccio più, allora penso di tutto magari faccio una rapina, poi rifletto, ma che dico? Sto impazzendo, io che indosso una divisa e ho sempre combattuto per far desistere i malviventi dal rapinare banche, poste, supermercati; io che quando mi hanno preso nella Vigilanza mi sentivo un paladino della giustizia. Però mi domando: ma chi importa di me e della mia disperazione ora?”
Per la prima volta, alla mente di Vincenzo, balza la strana idea di poter risolvere i propri problemi commettendo una rapina, cerca di distogliere questo pensiero.
Ma così non è.
L’8 luglio 2011Vincenzo ha staccato dal proprio turno lavorativo, è sempre più depresso. Si presenta davanti alla Banca Nazionale del Lavoro, aspetta il furgone che trasporta i soldi con a bordo due suoi “colleghi”.
Sono le 11 del mattino quando Vincenzo si avvicina alle due guardie giurate mostrando l’arma scarica e rivolta verso il basso, e dice: “state tranquilli, nessuno si farà male, non toccate le armi”. Questo è quanto afferma Vincenzo, ma la versione delle guardie giurate è divergente.
Vincenzo scappa, senza disarmare le guardie e riponendo la pistola nella tracolla, ma a quel punto una delle due guardie impugna la propria pistola e spara verso Vincenzo, colpendolo al gluteo destro. Vincenzo, mentre scappa, grida di non sparare; nonostante sia ferito ha la forza di raggiungere una concessionaria, la guardia giurata, da quanto afferma Vincenzo, continua a sparare mentre lui scappa uscendo da una porta secondaria fino a raggiungere la propria abitazione, nella quale viene arrestato da lì a poche ore.
Vincenzo, all’arrivo della polizia, non fa resistenza, assumendosi immediatamente tutte le responsabilità dell’insano gesto.
Ma Vincenzo vuole denunciare il comportamento tenuto dalla guardia giurata: “Nella fuga le Guardie mi hanno anche sparato alle spalle colpendomi e ferendomi, quando il mio intento era solo quello di allontanarmi. Un eccesso di difesa. Io non ho usato nessun tipo di violenza, solo la pazzia di un momento di depressione che invece di impiccarmi mi è sfoggiata così. Io lo chiamo tentato omicidio nei miei confronti, e tutt’ora questa cosa le autorità l’hanno nascosta. Che importa, tanto hanno sparato a un delinquente no?”
Oggi Vincenzo è agli arresti domiciliari e vorrebbe trovare un lavoro: ”Ora mi chiedo solo chi mi darà un lavoro? Ho 43 anni sarò una vittima dello stato che non mi ha dato la possibilità di riprendere una vita normale? anzi mi ha messo un masso sopra con l’intento di soffocarmi senza ripresa alcuna. A chi posso rivolgermi se non al creatore con la speranza che anche esso non mi condanni ulteriormente…”