"Senti, parliamoci chiaro. Cosa vuoi fare? Vuoi restare, vuoi andare, vuoi viaggiare?
Vuoi restare sola in questa città, che è piena di ricordi, di persone che se ne sono andate e non tornano più? Vuoi passare un altro anno della tua vita a fare le stesse cose, sugli stessi autobus, a camminare sulle stesse strade, a respirare la stessa aria? E dimmi, sei contenta? Sei felice della tua vita? Sei soddisfatta di quello che hai fatto, stai facendo? E i tuoi progetti?"
Quando qualcuno vi pone domande del genere, ci si mette sempre sulla difensiva.
Ci si mette quella faccia del tipo: "ma cosa vuole questo oh, ma i cazzi suoi mai, ma che pensi a se stesso che io sto tanto bene qui, a fare la mia vita, ora è arrivato questo, il moralizzatore, l'analizzatore del centimetro di vita, il programmatore di progetti meravigliosi."
In realtà è perché domande del genere smuovono sempre qualcosa, pensieri, parole, idee che c'erano una volta e che sono state accantonate per un po' perché chi lo paga l'affitto? E chi si fa una carriera? E chi trova lavoro? E chi, chi, chi?
Il 2013 è iniziato e questo gennaio infinito mi sta mettendo addosso dubbi di ogni genere.
I miei dubbi su Londra sono rimasti da quel lontano giorno di luglio, quando, seduta su una scrivania in un ufficio che non mi piaceva, a fare un lavoro pagato bene che mi uccideva le idee, piangevo silenziosamente la mancanza di molte cose. La cattiveria di questa città. La capacità incredibile che ha Londra di renderti cinico, impassibile, impenetrabile. Quando piangevo silenziosamente l'ennesimo momento di transizione che Londra mi ha costretta ad affrontare.
E allora facciamolo, parliamoci chiaro.
Io amo Londra, mi ha cambiata. Mi ha resa quella che sono ora, mi ha fatto crescere come nessun'altro e mi ha aperto gli occhi. Mi ha fatto diventare una persona migliore.
Ma. C'è sempre un ma.
Sono qui da tre anni. E tre anni sono tanti, sapete. E anche se sono volati, sono tanti.
E sono volati così in fretta che ora ho quasi ventotto anni. E quando sono arrivata ne avevo venticinque, e poche idee in testa, e una grande confusione.
In tre anni ho fatto così tante cose che qualche volta mi stanco solo a pensarle.
Ho visto persone andare e persone non tornare.
Ho cambiato lavori, ho cambiato case, ho cambiato coinquilini, ho cambiato colleghi.
Ho cambiato fidanzati tremendi e sperimentato tradimenti incredibili.
Mi sono innamorata e mi sono disinnamorata così tante volte che non mi ricordo più come si ama davvero.
Ho rincorso autobus, metro, taxi, aerei, persone.
Ora vi parlerò chiaro. Sono stanca. Stanca di vedere persone partire, e cominciare nuove vite, e io invece sono sempre qui. Sempre qui nella mia amata Londra, con le mie due coinquiline con cui comunico via email. Con il mio lavoro molto carino ma che non è quello che voglio fare per sempre.
Sono stanca di tornare a casa e vedere nella doccia peli altrui. Voglio vederci i miei, di peli, al massimo.
Sono stanca di progettare qualcosa ore ed ore prima, perché altrimenti la metro non va e l'autobus ci mette tre ore e poi inizio a lavorare alle 18 e allora non faccio niente. E non posso vederti oggi, ti vedo il 15 del mese prossimo. E non posso venire. Ci metto troppo a tornare a casa.
E allora vorrei impacchettare i miei 8 scatoloni e le mie due valigie, i miei tre anni qui, e ricominciare da un'altra parte. Vorrei farlo davvero.
Ma la verità è che ho paura.
Ho una paura fottuta di cambiare le cose. Di cambiare città, di cambiare casa, di buttarmi e provare cose nuove, di viaggiare. Ho paura che una volta presa una decisione, le conseguenze siano troppo grandi.
Perché a Londra so che cosa fare. E in altri posti no. Perché a Londra è tutto sicuro, o quasi.
Perché correre non mi fa più effetto.
Ma forse non mi va più.
"Dici che è vero che mi abituo alle cose, che mi abituo a stare senza le persone, che mi abituo ai posti e che niente mi fa più effetto?"
"Non si chiama abitudine. Si chiama sapersi adattare. Tu ti adatti, non ti abitui. Altrimenti non ti chiederesti mai nulla."
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