Esiste anche un altro motivo per amare le correzioni.
È giusto buttare giù le parole, per inseguire l’immagine che arriva all’improvviso. E poi? Non basta certo quello per poter affermare che si sta scrivendo qualcosa di importante.
Quello che conta è riuscire a parlare alla carne e al sangue che siamo.
Per questo motivo le correzioni sono il metodo per riuscire a stabilire una relazione con la carne e il sangue del lettore. Certo, tutta questa carnalità appare eccessiva a qualcuno. Mi spiace, ma quello siamo e quello resteremo. Non siamo idee o emozioni. Che poi esista chi invece racconta che parlare di carne sia volgare mentre parlare di emozioni sia sublime, non lo metto in dubbio. Anzi, la tendenza è quella.
Un corpo è scomodo, a volte è brutto, deforme. Richiede attenzione se malato o povero. Rompe l’atmosfera idilliaca che si cerca di creare.
E rompiamola questa atmosfera idilliaca!
La correzione riconduce alla realtà. Ed è falso affermare che questo ucciderebbe la poesia. Al contrario; se si è bravi, nella carne c’è un mucchio poesia. Però bisogna essere appunto bravi e il talento è un altro protagonista sgradito di questi tempi. Perché antidemocratico (giustamente). La conseguenza non può che essere l’espulsione della realtà dall’orizzonte della narrativa, sostituita da un surrogato.
Se invece si desidera parlare della realtà, diventa necessario procedere con vigore in un lavoro che tolga, per condurre la storia a essere non solo lo specchio della realtà.
Ma lo svelamento di quello che si nasconde oltre le apparenze.