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Parlare con la gente è fatica

Creato il 26 marzo 2014 da Giuseppe Martella @GiuseppeMartel1
Parlare con la gente è fatica

(Ripubblico, con minime variazioni, una lettura della raccolta integrale delle poesie di Umberto Fiori, Mondadori, uscita ieri sul Primo amore. Il volume sarà presentato mercoledì 26, alle 18, da Milo De Angelis e Antonio Riccardi alla Feltrinelli di via Manzoni, Milano.)

Esempi è il titolo della seconda raccolta di poesie di Umberto Fiori. Il primo testo che apre questo libro, uscito nel 1992 e, come altre raccolte a seguire, pubblicate da Marcos y Marcos, recita:

Questi pochi versi hanno oltre vent'anni, sono antichi, eppure inquadrano con una sicurezza insospettata la traiettoria che di lì a poco tutti gli altri testi di Umberto Fiori avrebbero infilato. E ora che la Mondadori ha dato alle stampe sotto il titolo di Poesie 1986 - 2014 tutta l'opera di Fiori, per la cura e l'introduzione di Andrea Anfribo, questi versi sembrano confermare quella traiettoria.

Poeta dalle parole semplici, dirette, apparentemente prive di ambiguità (un sermo humilis, si sarebbe potuto dire), Fiori ha si è cucito addosso un personaggio, una voce narrante, monologante, cui ha dato il proprio nome. L'assunzione di questo personaggio, di questa persona (da intendersi come vera e propria maschera) non è nata con le prime prove, è piuttosto un'acquisizione, quasi un'agnizione, che compare non subito. In esergo alla sua quarta raccolta, Tutti, si legge: Mi chiamo Erik Satie, come tutti. Con qualche anno di anticipo rispetto all'uso che Siti ha fatto della stessa frase. Quindi in tempi non sospetti.

E cosa fa questo personaggio chiamato Umberto Fiori? Cammina, osserva, rimugina, sentenzia, si scosta. Circondato dall'aperto teatro della quotidianità, il personaggio Fiori cerca di definire ciò che vede, tenta di definirsi, lambisce i limiti del prossimo, li accosta ai propri, vuole mettere a fuoco l'intima fibra che ci lega e pare spezzarsi tutte le volte che tentiamo una parola, allontanandoci.

Tutta la poesia di Fiori sembra avere un piede nel Novecento e l'altro nella più stretta e abitata contemporaneità. Il personaggio Fiori è un flâneur. In Case ed Esempi, le sue prime raccolte, lui non fa che camminare e osservare, pensoso (Petrarca, il primo poeta moderno, introspettivo: anche lui camminava e pensava). Fiori calibra i suoi strumenti di osservazione e cerca di mettere nero su bianco le prime note. Il più delle volte fallendo. Gli oggetti della sua osservazione (le case, le stazioni, le piazzole, le fondamenta, quelli che passano) sembrano essere dei fantasmi, poco più che delle apparizioni. Aldilà di queste apparizioni, si stagliano i primissimi avvistamenti della natura, che non può nulla contro la pena che assale il nascere di ogni pensiero: Viene un respiro / dalle case qua intorno. Nei colpi, negli odori, / senti le cose patire. Perché il pensiero rischia di essere solo un urlo animale: Io provo a pensare, e ragiono, / e dentro sento tutta la testa che abbaia.

Il Novecento di Fiori ha poche ma chiare radici. Giudici è una voce su cui Fiori si accorda molto, quasi con naturalezza. Nel descrivere la realtà urbana che lo circonda, spesso raggelata e deformata per eccesso di dettaglio, sembra alle volte spuntare anche il viso di Sbarbaro (in Case, un'intera e intesa sezione è composta da sole prose liriche).

Aldilà del Novecento, oltre il Novecento, la forza di Fiori sta nell'avere cercato e nel continuare a cercare di scrivere un solo, unico romanzo: un romanzo in versi. Fiori destruttura, mette in dubbio e cade nel dubbio, ma si rialza sempre. C'è in lui una volontà leggera e persistente nel rialzarsi e nel combattere la sottile nevrosi che lo porta a guardare e annotare.

In questi anni di scrittura Fiori ha messo sotto la sua lente i tratti distintivi di quell'animale ambiguamente sociale che è l'uomo. In Case si partiva dalla materia inerte, dai luoghi indifesi che si lasciavano osservare senza opporre resistenza. Il primo vero passo si ha con Esempi, una raccolta affollata di scene, piccoli apologhi, passaggi di quotidianità grazie ai quali Fiori lucida e mette a fuoco la campana di vetro dentro la quale ci vede tutti isolati (lui per primo), e si rivela autore satirico, a suo modo. In Chiarimenti è la parola stessa a essere torchiata. Le epifanie, i momenti di svelamento, esistono solo in un silenzio improvviso e feroce, in una distrazione, un ripiegamento: è bello restare lì / con il bicchiere in mano, senza essere / veramente presente, / senza sapere neanche più com'è / essere uno.

Questo ripiegamento scava in Fiori e gli permette di usare per la prima volta un tempo passato e più narrativo: l'imperfetto. Dopo anni di osservazione ravvicinata, di assedio, Fiori inizia a osservarsi. Nasce in lui la profondità. Questo passaggio, fondamentale, accade proprio in Tutti, la raccolta con la quale non a caso Fiori ricrea sé stesso e rinasce come personaggio. La poesia Risveglio certifica questo passaggio senza ritorno: I discorsi, gli odori, / la gente in giro, la luce, i viali: sembrava /tutto talmente uguale che era come / non averlo mai visto. E la raccolta si chiude con un poemetto intitolato Io. E Fiori non è più solo osservatore, ma partecipa del chiassoso silenzio che fino ad allora si era limitato a descrivere. E si rafforza nel lettore l'idea che si stia leggendo non una raccolta di raccolte di poesie ma, di nuovo, un vero e proprio romanzo, i cui capitoli si delineano ora come accorte manovre di avvicinamento verso un cuore nascosto.

A questo cuore Fiori si avvicina negli inediti che chiudono il libro, intitolati Il conoscente. Questo primo movimento è preceduto da due raccolte: La bella vista e Voi (sono, nell'ordine, l'ultimo volume per la Marcos y Marcos e il primo per la Mondadori). Nella Bella vista c'è un tentativo di comunione con la natura, circoscritta a luoghi che appartengono al Golfo della Spezia, la Lunigiana (ed è come rileggere tante cesellate variazioni di quel canto alla Natura che è di Sbarbaro e ha nome: Voze). Un tentativo che stilisticamente allontana Fiori dalle sue corde più consuete e viene immediatamente superato dalla seconda parte del libro, dove Fiori libera le riserve più nascoste e più pregiate di rancore: Ogni volante, una testa. Come due uova / rimaste nel cestello di cartone, /il taxista e il cliente / guardano avanti. Poi arriva Voi, uno slargo in cui Fiori tenta forse per la prima volta di dare un nome e un volto, anche se anonimo, all'ossessione che lo lega ai propri simili da tutta una vita, e ancora una volta il confronto manca: Io sputo fiamme. Voi / date un'occhiata all'orologio.

Rimane Il conoscente a chiudere questo lungo romanzo in versi di miseria e interrogazione che si apre, letteralmente, dentro un filobus, in compagnia di Fiori della sua nemesi, il conoscente. La prima stazione di una discesa agli Inferi.

Tag:Il primo amore, Mondadori, presentazione poesia, recensione poesia, Tutte le poesie, Umberto Fiori


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