La scuola della ‘povna condivide l’edificio in muratura (ma non la presidenza) con l’adiacente Liceo Artistico. Questa scelta, bislacca come tante, perché le due scuole non sono mai stata legate in un unico Istituto comprensivo di appartenenza, data dalla notte dei tempi, e ha portato, nel corso degli anni, a numerose guerre degli spazi; che si sono svolte – a seconda del numero di iscritti, e dunque delle future classi – a colpi di restrizioni e allargamenti, ripresa e cessione di aule, tramezzi di cartongesso e successivo abbattimento di quegli stessi muri.
Poiché però domina su tutti loro, onnipotente, la Divina Sicurezza, ci sono cose che non possono essere cambiate, pena l’infrazione della legge. E, tra queste, la porta a vetri, dotata di maniglione antipanico, che separa in trasparenza i due mondi, collocata alla metà esatta del corridoio del primo piano.
Quella porta, è prevedibile, è stata da sempre (così come tuttora resta) oggetto di un serrato contendere. Perché artistico vuol dire “fanciulle”; tecnico, viceversa, un sacco di maschiacci. Ormone, come è noto, è onnipresente. E dunque buona parte dei due intervalli è dedicata dai docenti a piantonare il trasparente passaggio.
Seguendo ogni prevedibile cliché (sì, ogni doppio senso è esplicito), infatti, le bimbe al di là del vetro, prigioniere, aspettano di essere liberate a viso fermo; i ragazzi, dall’altra parte (dotati di maniglione antipanico), si dedicano all’invasione ogni volta che possono. I professori fanno da arbitri; tuonando varianti ataviche del famoso film horror. Poi, finalmente, suona la campanella, e tutto ritorna tranquillo almeno per due ore.
E’ in un contesto di tal genere che la ‘povna, percorrendo il corridoio incriminato a larghi passi (non le toccava, per fortuna, nessuna sorveglianza), si è imbattuta in un grazioso siparietto. Così prima è passata al volo, come sempre. Poi ha fatto bruscamente retromarcia; e si è fermata, curiosissima, a guardare.
Dal lato tecnico, infatti, un loro studente se ne stava incollato per bene al vetro maledetto, di fronte alla sua bella, prigioniera dall’altra parte. La porta era rigorosamente chiusa, come da regolamento. Ma loro, presi dall’amore, non sembravano accorgersene. Mano sulla mano, occhi negli occhi, si gettavano parole e sguardi languidi. La mano libera, sia l’uno, sia l’altra, sollevata all’altezza dell’orecchio. Tutti presi fittamente, come graziosi carcerati, a parlare al cellulare.