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Parliamo di vestiti per parlare di lavoro

Creato il 29 ottobre 2015 da Annagiulia @annagiuliabi

Me ne stavo beata a chiedermi se acquistare questa felpa in blu o in bordeaux, quando sono incappata in una (altrui) discussione riguardo la vecchia storia del lavoro creativo non pagato, della retribuzione in visibilità e tutto quel circo lì.

Per mia (s)fortuna, a parte un paio di occasioni relegate ai primi anni di università non ho mai lavorato gratis in questo campo.

Intendiamoci: se io contatto qualcuno, ad esempio una redazione online, proponendo un mio articolo/lavoro di grafica/video perché penso di essere brava e vorrei farmi conoscere dal popolo della rete, è verosimile che la controparte non offra un pagamento, e ci sta, perché il piatto della bilancia non pende da nessuna delle due parti: loro avranno un contenuto, io avrò la visibilità che forse mi permetterà di crescere professionalmente.

Un’altra questione si verifica quando è il committente ad aver bisogno di un contenuto senza essere però disposto a pagarlo: quindi io artista (che parolona) produco un contenuto su commissione perché la controparte ne ha bisogno, senza però essere ricompensato da chi è nella posizione di aver bisogno del mio servizio.

Credo che in tal caso, decidere se accettare o meno sia abbastanza semplice se si segue uno ragionamento molto veloce: prima di tutto, se il sito sul quale il mio contenuto sarà pubblicato coniene dei banner pubblicitari, io voglio essere pagata, perché il proprietario del dominio lucra (anche) sul mio lavoro.

Secondo passo, se il contenuto richiesto è più un lavoro di tecnica che di espressione creativa, ad esempio se mi chiedessero la recensione di un film indicandomi le linee guida da seguire e il giudizio finale, la risposta sarebbe no (dovrebbe essere no anche se si trattasse di un lavoro pagato, visto che ci va poco a perdere la faccia in rete).

A questo proposito, qualcun’altro ha notato come internet sia diventato una giungla insidiosa in quanto a recensioni di qualsiasi genere? Dai film ai libri, dai cosmetici ai viaggi, il rischio che dietro alle recensioni e ai commenti positivi ci sia qualche utente prezzolato è sempre più alto: se volete divertirvi, provate a cercare su un motore di ricerca o su YouTube un qualsiasi nome di cosmetico, titolo di film o marchio: ora aprite qualche risultato a caso, e raccontatemi quante recensioni sembrano dei comunicati stampa.

YouTube ha perso freschezza e spontaneità diventando una lunghissima e schizofrenica televendita, molte agenzie “comprano” le blogger che trasformano le loro pagine nella versione telematica dei volantini del supermercato.

Io non sono contro alla gavetta, anche a quella sottopagata o pro bono, ma devono sussistere i prerequisiti necessari a non diventare un’altra anima in pena nella fila degli sfruttati dai nomi più o meno grandi dell’editoria, sia cartacea che digitale (o musicale, o cinematografica…).

Ci sono siti e blog di cinema e non solo su cui amerei scrivere, e lo farei anche gratis, perché ne condivido l’etica e perché riconosco che il fine di lucro è inesistente, o quantomeno secondario.

E anche perché ad oggi, scrivere non è la mia professione e non sto cercando di farmi strada in quel campo, avendo preferito entrare nel tendone del circo dell’intrattenimento e della pubblicità.

Quindi tornando alla felpa della quale ancora non ho scelto il colore, perché di bordeaux ho degli stivali ma le Converse le ho blu navy, io adoro internet perché chiunque può fare qualsiasi cosa ma come nel mondo reale, l’eccellenza dovrebbe essere è un plus ultra e alla lunga pagherà.

In visibilità.

boots

all star



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