Sto leggendo dei libri sulle nuove organizzazioni aziendali non più basate sul modello industriale ma su strutture leggere con un mansionario molto duttile e con poca o nulla piramide di ruoli.
Il tutto basato su la nuova forza lavoro/motivazione che viene chiamato knowledge worker. Possiamo tradurlo in operatore della conoscenza, dove, seppur stagionato, potrei inserirmi pure io.
Un lavoro che cambia rapidamente, dove la formazione e la curiosità del sapere non possono appartenere al passato e dove la storia può costituire la base per un’innovazione e a volte foriera di nuova occupazione (ma spesso più di riqualificazione).
Anche l’agricoltura sociale può appartenere a questo nuovo modo di interpretare le nuove competenze, le nuove aspettattive collettive.
Ma per tutti quelli che il tradizionale lavoro lo hanno perso che gli raccontiamo se hanno 50 e più anni? Poi vai a vedere gli studi di UnionCamere e mancano cuochi, camerieri, personale per i servizi alla persona, all’accoglienza, muratori, ecc..
Allora vi lascio questa citazione in riferimento al titolo del post.
“Il vero compenso non è ciò che il lavoro ci permette di guadagnare, ma ciò che esso ci permette di diventare” di John Ruskin
Che…barba!!