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Parole in musica...

Creato il 21 settembre 2013 da Fmrt
Durante una cena, una come le tante, una di quelle che sai sono cominciate ancor prima di trovarsi tutti assieme nella stessa stanza a condividere quell'aria un po' chiusa, necessaria per non far fluire via i pensieri e tenerli vicini, una di quelle cene lì...insomma, ecco...durante una di quelle cene, un caro amico mi ammonì per l'ennesima volta che ancora non avevamo dato a noi stessi il tempo di sederci, solo io e lui, una chitarra, forse qualche penna, due buone sedie che reggessero il peso di una notte da costruire e una bottiglia di vino.
No. La bottiglia di vino non è necessaria. Non dobbiamo o vogliamo ricalcare alcun stereotipo melanconico decadente. Liquori. Scotch. Rum. No. Siamo già noi melanconici e decadenti, figurarsi ricalcare qualcuno che ben prima di noi lo è stato. Non riusciamo nemmeno a ricalcare noi stessi.
Il vino. Buon rosso. Si. Il vino rosso è una passione comune. Passioni: proprio di passioni abbiamo bisogno.
Torniamo alla cena. Una delle tante cene. Quelle cene in cui non capisci bene come e quando accade ma all'improvviso ti ritrovi in una balera e tra voci e schiamazzi, tra confronti animati sul fine ultimo dell'uomo o ciarle amorose di sagome da teatro, guardandoti attorno, hai l'impressione di rivivere la Parigi del primo novecento.
Già, novecento. Novecento come sono novecento i sogni. Novecento come sono i nomi delle persone cui hai stretto la mano, salvo poi qualche secondo più tardi dimenticarti il loro nome. Gran fastidio. Novecento, come sono novecento le parole che vorresti usare quando parli con lei...quella creatura che d'un tratto rapisce ogni tuo interesse, quel ceffone inaspettato che ti desta violentemente da un torpore in cui non pensavi di essere caduto...si, insomma, quella visione, perché sulle prime credi sia una visione: una ragazza che d'un tratto diventa la ragazza. E poi, altro che visione.
O forse no, non sono novecento. In realtà nemmeno una. Di parole, intendo.
Silenzio. Perché le parole, sono pensiero. Non pensi. Ti piace così, senza pensare. Oh...che sbadato: ho debordato derivando verso la mia anima più romantica. La ricaccio immediatamente indietro. Si parlava di cene, qui...mica di quisquilie!
Già. Una di quelle cene. Quelle cene dove la luce di una lampada non ti osserva immobile da un santuario fluttuante. Non rimane sola, no. Ha un posto al tavolo e assieme a lei si discute, immaginando. Vibrando. Perché se durante una cena non si vibra, non c'è cena. Non c'è movimento. Tutto è fermo. Quelle cene in cui forse non si parla granché con chi vorresti parlare ma scrutandovi, lanciate intese silenti che risuonano al vostro interno. Perché a volte, le parole, lo sappiamo bene, confondono e distolgono dall'essenza delle cose.
Uno sguardo tra amici. Risonanza la chiamerei. Uno suona, l'altro suona. Frequenze. Onde. Risonanza. E così, senza parlare, quella sera, con questo amico, comprendemmo. Comprendemmo che ci saremmo trovati più di una volta in risonanza. Comprendemmo che avremmo scritto almeno una canzone assieme.
Quella cena, finì lì. Successe altro. Di certo, successe altro. Forse una bottiglia rotta. Forse chiacchiere di fantomatici politicanti. Si, successe altro. Succede sempre altro. Per me, però, quella cena, finì lì.
Qualche tempo dopo, ci trovammo a godere della fresca aria serale in un balcone di un amico. Una domanda violò il silenzio: Giovanni, ti ricordi quella canzone che avremmo dovuto scrivere?
Mi guardò con un sorriso. Un sorriso complice. Aggiunsi, poi: vorrei farti una domanda. Ti è capitato di voler rubare un bacio ma di non averlo fatto?
Mi guardò sorridendo. Rispose con una smorfia. Rispose con un sorriso. Rispose con gli occhi. Rispose con tutto quanto avesse a disposizione. Rispose, pur quanto non disse nulla. Non gli chiesi quante ragazze avrebbe voluto baciare. Non parlavo di baci. Parlavo di Bacio. Un bacio. Quel bacio a quella ragazza, non un altro, non un'altra.
M'intese. Quella sera, non ne parlammo più.
Passò ancora del tempo e mi ritrovai ancora a stuzzicarlo. Mi diverte punzecchiare.
Gli rivelai che oltre al bacio non rubato, avevo pensato al "a domani". Già. Nulla di complesso. Pensavo al "a domani" e consideravo che non c'è frase più bella e semplice che due persone possano dirsi. La certezza, l'augurio e la promessa che domani saremo di nuovo assieme.
Mi confessa di aver avuto una mezza ispirazione. "dobbiamo vederci e comprare del buon vino! Ti voglio bene amico mio!" esordisce con la solita ilarità. Il buon vino, ritorna.
Passò del tempo e tornammo a parlarne. Gli descrissi quanto mi accadde quest'estate. Le estati. Che roba curiosa.
"Mi piacciono le ragazze con gli stivaletti. Quelle semplici che sanno vestirsi. Quelle che le vedi e pensi...no, non pensi...perché ti piacciono così, senza un pensiero." ricordo che uscì spontaneamente.
a quel punto, divenni un fiume in piena "sai cosa? Quest'estate son stato contento. Non per chissà cosa. Ero contento di andarmi a sedere sempre nello stesso posto.
Non perché vi fosse qualcosa di particolare. Si, forse si vedeva bene da lì. Era abbastanza centrale. Non ho mai cambiato. L'ho persino aggiustato. Lo schienale non funzionava e l'ho riparato.
Mi piaceva quel posto. Mi piaceva perché accanto a quel posto, anche un altro posto era sempre occupato dalla stessa persona. E anche lei non lo ha mai cambiato.", rileggendola ora a freddo, mi ricorda tanto - vi chiedo già scusa se parrò mieloso - la volpe che spiegava al piccolo principe cosa volesse dire essere addomesticati e, con una leggerezza cui solo i personaggi di storie favolistiche sono dotati, diceva: se tu verrai alle 4 io alle 3 sarò felice.

Ricordo poi di essermi lanciato in assurde divagazioni, come mio solito, direi quasi. Persino queste sono divagazioni.

Ho farfugliato scomposte dichiarazioni d'insolenza, "comincio a pensare che non esiste l'amore.
L'unica cosa che esiste è tu, lei e tutto quel che siete...prima, durante, in mezzo, dentro, fuori.
Forse usiamo dire amore perché preferiamo qualcosa di impalpabile...dire "questo siamo noi" potrebbe scatenare timore
Però, si. Se dovessi dire cos'è amore, direi che è "questo siamo noi"."
Bene. Ho divagato abbastanza. Concludo.

Giovanni, rispose. Vorrei lasciarvi con questa breve folgorazione. La sua risposta mi fece sorridere e m'illuminò: "Ti sei accorto che abbiamo già iniziato a scriverla, questa canzone?! Dicevamo di quel posto a sedere?"


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