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Parte 1: l’eredità del deserto

Creato il 03 luglio 2010 da Faustotazzi

Parte 1: l’eredità del deserto
Deserto d’Arabia: due milioni di chilometri quadrati che occupano quasi tutta la penisola. Novecento miglia dalle frontiere dello Yemen alle montagne dell’Oman e altre cinquecento dalle coste meridionali dell’Arabia Saudita fino al Golfo Persico. In mezzo è solo sabbia,  sabbia selvaggia, deserto nel deserto, tanto enorme e desolato che persino gli Arabi lo chiamano Rub al Khali: il Quarto Vuoto. (...)
(...) Le nuvole si addensano, la pioggia cade, gli uomini vivono. Le nuvole si disperdono, terra senza pioggia, uomini e animali trovano la morte. Niente ritmo delle stagioni, non linfa che scorre, solo vuoto abbandonato dove è il cambio della temperatura che segna il passare del tempo, dei mesi e degli anni. Terra secca, aspra, mai facile e mai gentile. Eppure gli uomini hanno vissuto qui dall’alba del mondo. Hanno lasciato solo qualche pietra annerita dal fuoco dove erano gli accampamenti, solo sentieri invisibili tra i sassi, tutto il resto è sabbia, un mare di sabbia in movimento e un vento che spazza ogni impronta, quelle di ieri come quelle di migliaia di anni fa. Generazioni dopo generazioni hanno vissuto qui per il semplice e ineluttabile motivo che qui erano nati. Vite uguali a se’ stesse e a quelle degli antenati, difficoltà e privazioni accettate perchè non si è mai conosciuto altro modo di sopravvivere. Vite da beduini, strenue e terribili, non vita ma morte in vita. Nessuno può uscirne immutato, nessuno può sfuggire al marchio del deserto. (...)
(...) La vita qui può raggiungere i più profondi abissi della sofferenza e del terrore. la nudità di queste terre spaventa più della foresta più oscura. Di giorno un sole senza pietà ci fa sentire insignificanti, come gli scarafaggi che scivolano sulla sabbia delle dune. Solo la notte prendiamo a prestito qualche metro di terra per montare un accampamento e seduti attorno al fuoco possiamo provare un intensa sensazione di casa. Sopra di noi uno schermo familiare di stelle e il mistero immenso dello spazio. (...)
(...) Nel deserto, dove ogni cosa non strettamente necessaria è semplicemente un ingombro. Nel deserto, dove ho imparato l’appagamento semplice della pancia piena, la ricchezza della carne, la purezza dell’acqua, la soddisfazione nelle difficoltà, il piacere nell’astinenza, l’estasi nel sonno e dove ho conosciuto la felicità nel calore di un fuoco al tramonto.
(Wilfried Thesiger – Arabian Sands)
Qui nessuno ha lasciato monumenti, perché tanto il deserto se li prende. Qui non si beve alcool e le donne vanno in giro coperte di nero, qui si tagliano le teste e lo si fa ancora a mano, da buoni artigiani. Perché il marchio del deserto rimane anche quando il deserto non c’è più. Perché è il vuoto in persona che te lo ha inciso dentro. La vita del deserto è semplice, ma non è facile. E le sue conseguenze sono qualcosa di profondo, che non sta a noi giudicare.

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