Magazine Cultura
Termino di pubblicare il resoconto sull'acquedotto romano dove Marco Giachetti rende noto quanto fino ad oggi sappiamo di quest'importante opera romana e lo ringrazio:
"Attualmente i dati noti sono:
- In località Buca del Tasso, poco a sud, lungo la stessa via Barberinese, M.Bacci ha seguito per alcune centinaia di metri il tracciato del condotto, libero da vegetazione arborea, nella boscaglia.
- L’ultimo ritrovamento del comune di Calenzano è riportato nel corposo volume di D.Lamberini- Calenzano e la Valdimarina, in cui le memorie di un parroco di Settimello, il Pupilli, parlano del ritrovamento di un condotto romano alla stalla della casa del Balzo, lungo l’attuale via Baldanzese; è possibile che lo stesso toponimo IL BALZO fosse in qualche modo in relazione con la traccia del condotto, semiaffiorante nelle arature, costituente nella parte a monte una sorta di “diga” ostacolo al dilavamento e presentantesi come un balzo naturale del terreno;
Lo stesso ritrovamento presso la chiesa di Settimello, di un grande ninfeo ottagonale, probabilmente annesso alle terme di una “mansio”, potrebbe essere collegato con un sifone di troppo pieno dell’acqedotto, che scorreva immediatamente a monte. Nel comune di Sesto il Moreni, già nel settecento segnalava il ritrovamento del condotto “sopra e sotto” Querceto (evidentemente usando Firenze come termine di osservazione); i ritrovamenti effettuati dal Gruppo Archeologico nel 1979 e nel 1983 rispettivamente a Sesto in via Genova e in via del Cuoco, quello degli anni trenta nel podere dell’hotel Villa Villoresi (il Prato alla Tosa) e quello del 1956 di via Meucci ang. V.Bencini hanno permesso di definire con certezza il tracciato in quelle zone, mentre ancora mancava il tratto del proseguimento fino alla villa Reale di Castello, dove lo segnalava il Fei, autore di una guida di quel monumento; recentemente - 2001, i lavori TAV per il tunnel ferroviario sotto M.Morello hanno sezionato un tratto dell’acquedotto, appena a monte del cimitero di Sesto; i sondaggi archeologici eseguiti precedentemente avevano dato esito negativo, per cui era stato autorizzato lo sbancamento TAV, ed è stato per puro caso, durante il sopraluogo provocato da un’altra emergenza archeologica sotto le radici di un olivo, che ci siamo accorti, poco lontano nella sezione, della presenza di una macchia di calcinacci dovuta alla distruzione di qualche muratura; conoscendo la pubblicazione del Chiostri (della quale a distanza di trent’anni è stata fatta una ristampa) ho subito pensato all’acquedotto, cosa confermata dopo i lavori di ripulitura. Lo stesso professor Chiostri, a ottant’anni suonati, ha avuto la gratifica di potersi infilare nel condotto, appena vuotato dei sedimenti accumulatisi nei secoli.
Attualmente il sito di questo affioramento è stato ben scavato dalla Soprintendenza Archeologica, in vista di una sua pubblica fruizione. Nel comune di Firenze, dopo i sotterranei della Villa Reale di Castello, si rintracciò il condotto nel podere Il Chiuso, in località Il Sodo, dove, a detta del sig. Ballini, abitante la c.colonica a metà di via della Montalve, veniva chiamato dai contadini “muro del diavolo” perché appariva inspiegabile la sua lunghezza, con il ritrovarsi dietro la casa, nei campi in vari fossi di drenaggio ed evidentemente di ostacolo alle arature, nei suoli coltivabili. Oltre via delle Montalve, il condotto era ormai fuori terra, al punto che, eliminando i rovi, si vide che, presentando esternamente l’aspetto di un rozzo muro a ciottoli, costituiva il limite tra campi differenti e attualmente la Palestra Universitaria di via Eleonora Montalvo conserva, sul limite del giardino del retro, una parte del muro che contiene il condotto. Un giorno del 1983, mentre in auto con l’ispettore De Marinis percorrevamo via di Quarto, ci siamo accorti che, nel muro a lato del civico n.7 c’era traccia della muratura dell’acquedotto, alquanto differente da quella usata normalmente, nel resto della recinzione. Pochi giorni dopo, nel campo adiacente, a lato delle case degli ex-profughi dalla Grecia di via Da Tolentino, in un fossetto di drenaggio, si trovò traccia del condotto e la cosa fu segnalata alla S.A.T. con lettera raccomandata. A distanza di ventitrè anni, la scorsa estate, la lottizzazione edile ha completamente sconvolto una cinquantina di metri del condotto, già mancante della copertura evidentemente demolita nei secoli dalle arature. In periodo di ferie, fortunosamente un Pistoiese che aveva letto il libro del Chiostri, si è accorto di ciò avvisando la soprintendenza che ha potuto operare un salvataggio parziale delle strutture, che smontate in pezzi, verranno rimontate nell’erigendo giardino condominiale (sperando che l’andare del tempo e i calci dei ragazzi non ne portino il completo degrado).Il percorso successivo, parallelo al torrente Terzolle, si svolgeva fuori terra, disegnando archi sempre più elevati (nella zona del Romito quasi 8 metri). La chiesa di S.Stefano “de uno Pane” era ubicata “prope arcum antiquum” e chiamata anche S. Stefano all’Arcora, la successiva via dell’Arcorata o dell’Arcovata fa pensare alle arcate che ancora nel medioevo esistevano nella zona (ancora nel settecento ne erano visibili alcune presso il Romito che sono riportate in stampe e vedute dell’epoca). Dopo l’ingresso nella città romana (che iniziava presso S.Maria Maggiore) l’acquedotto riforniva terme e fontane pubbliche: quelle di Capaccio- da caput aquae, dovevano essere le ultime rifornite; le terme di P.Signoria hanno anche dato un’epigrafe con il probabile nome di chi le ha fatte costruire, un potente liberto imperiale"
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