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Parte 4 e fine: 2010 Odissea nel deserto

Creato il 17 luglio 2010 da Faustotazzi
Parte 4 e fine: 2010 Odissea nel deserto
"Rimanemmo venti giorni ad Abu Dhabi, una tranquilla cittadina di più o meno duemila abitanti. Ogni mattina lo sceicco ci faceva visita e passaggiavamo lentamente nel forte, parlavamo per ore bevendo caffè e gustando dolci arabi. Poi quando ci lasciava andavamo al mercato dove, seduti a gambe incrociate nei negozi, stavamo a chiaccherare e bere altro caffè. Nel pomeriggio vagabondavamo per la spiaggia dove i marinai calafatavano i dhow con grasso di squalo per prepararli alla stagione della pesca delle perle. I bambini giocavano nell'acqua e i pescatori sbarcavano il pescato della giornata.

Qualche scena più o meno simile potete vederla ancora anche qui a Dubai, magari al porticciolo di Umm Suqueim. Dagli anni ‘90 questa città ha vissuto ritmi di sviluppo  probabilmente senza eguali in tutto il mondo, nemmeno negli Stati Uniti del secolo scorso. Autostrade, ospedali, scuole, università, impianti elettrici, desalinizzazione dell’acqua di mare, irrigazione estensiva, aria condizionata ovunque. E poi cementifici, aeroporti, zone industriali, grattacieli di uffici, complessi residenziali, shopping malls, ipermercati, centri fieristici, complessi alberghieri, spiaggie, campi da golf, piste da sci nel deserto, stazioni satellitari, studi televisivi, case editrici e chi più ne ha più ne metta. Una bolla speculativa di dimensioni colossali che, con la crisi economica mondiale, si è preparata ad esplodere.
Secondo me la bolla però non è mai veramente esplosa, per quanto certo si stia svuotando rapidamente. Il ritmo di vita decresce giorno dopo giorno come un pallone bucato ma non mi è parso di sentire botti  e ormai penso che il più sia stato dato.
Ci sono due modi per leggere la crisi di Dubai. Il primo è attraverso il collasso nell’edilizia e il blocco dei crediti internazionali, due eventi - questi si esplosivi - che hanno messo in ginocchio due settori che certamente non si riprenderanno ne’ nel breve ne’ nel medio termine. Il secondo angolo di lettura sta invece nel considerare l’intera economia della città-stato, che non è nata ieri e che sfrutta i vantaggi competitivi della sua localizzazione geografica e delle sue infrastrutture di primordine. Da questo punto di vista non è difficilissimo prevedere che nel medio periodo la crescita di Dubai resterà ottima, per quanto i picchi insostenibili degli anni del boom sono destinati a non ritornare mai più.
Tra il 2008 e il 2009 la crisi finanziaria dei sub-primes americani si è propagata rapidamente in una crisi economica mondiale. Dubai è un’economia (relativamente) piccola e fortemente dipendente dalla domanda esterna. Infatti questa si bloccò istantaneamente, malgrado i proclami degli sceicchi che provavano a negare l’evidenza. Il prezzo del petrolio cadde rovinosamente da 140 a 40 dollari al barile e molte imprese sospesero tutti i progetti di espansione soffocando così il respiro economico dell’Emirato a cui non affluirono più ne’ capitali ne’ forza lavoro.
La bolla edilizia iniziò a divenire preoccupante verso la fine del 2008, quando condizioni più stringenti del credito e la caduta degli indici di fiducia dissiparono la domanda. Proprio nello stesso momento la frenesia dei cantieri edilizi aperti qualche anno prima stava arrivando a mettere sul mercato una quantità enorme di palazzi nonostante un eccesso di offerta che cominciava ad essere ormai evidente. I costruttori decisero ovviamente di portare a compimento perlomeno i lavori che erano ormai prossimi alla fine, accelerando per piazzare gli immobili prima che altri li terminassero. Forse posso rendere tutto più chiaro con un semplice esmpio: Chiara (che Allah la benedica e la protegga) vive in un megappartamento in una torre nuovissima di una sessantina di piani, paga la metà di quanto le avevano chiesto l’anno scorso e nell’intero palazzo per il momento vivono solo tre famiglie. Insomma, le nuove torri se ne rimarranno semplicemente li semivuote, ci vorranno anni prima che l’offerta si riallinei con la domanda. Direi che le prospettive per il settore immobiliare a Dubai sono pessime.
Ciliegina sulla torta o per meglio dire miccia sulla dinamite, tutto questo era stato costruito finanziando investimenti a lungo con debiti a breve termine. Ora senza bisogno di essere Tremonti o un Nobel per l’Economia basta un Beduino di quelli che accompagnavano Thesiger nel deserto per scorgere senza troppe difficoltà un considerevole rischio finanziario nell’impresa. E in effetti il drago che sonnecchiava si è alla fine risvegliato a fine 2009 quando la maggiore immobiliare locale – l’ormai tristemente nota Dubai World – è crollata sotto il peso dei suoi debiti ed è stata forzata a rinegoziare la struttura del suo finanziamento. Il risultato è stato evidentemente quello di far perdere la fiducia agli investitori internazionali che ora negano il credito ai progetti nell’Emirato che si ritrova così a corto di capitali.
Una volta riconosciuta questa innegabile realtà non si può però non rendersi conto che Dubai non è nata ieri con la bolla immobiliare. 

Parte 4 e fine: 2010 Odissea nel deserto
"Salutai i miei compagni di viaggio a Sharjah e andai a Dubai dove sarei stato ospite di Edward Anderson. Questi abitava in una grande casa sul creek, il braccio di mare che divideva la città in due. Dubai era la maggiore città della costa, con circa venticinquemila abitanti. Molte imbarcazioni erano ormeggiate nel creek o stavano facendo in carena in secca sulle sue rive fangose. C'erano dhow, jaulabauts, c'erano boow Kuwaitiani e sambuchi dal Sur. Una vecchia baghila aveva una fiancata decorata con monogrammi cristiani che probabilmente erano stati copiati dai progetti di galeoni portoghesi che si erano tramandati immutati di generazione in generazione. (...) 


Mi sarei potuto recare in Bahrain in aereo da Sharjah ma preferii farlo navigando su un dhow da Dubai (...)  La prima notte fummo presi da una tempesta e dovemmo riparare sotto la costa persiana dove bordeggiamo per quasi tre giorni perchè il vento, per quanto calato, ci arrivava sempre dritto in prua. Mentre aspettavamo che il vento girasse fummo raggiunti da altri dhow che facevano ritorno da Zanzibar. I dhow sono barche solide, pesanti, fatti per navigare l'oceano Indiano. I loro capitani vennero a remi sottobordo, mangiammo assieme riso, datteri e un grosso pesce che avevamo appena pescato poi fumammo shisha e ci parlarono del loro viaggio ma molti termini non li riuscii a capire. 
Il giorno dopo il vento girò e ci mettemmo in rotta verso Bahrein. Fu emozionante vedere i grandi dhow che ci superavano fendendo le onde del Golfo. Erano gli ultimi battelli commerciali del mondo che navigassero ancoralunghe rotte esclusivamente a vela. Di li a poco sarebbero spariti.
Quando fummo quasi in vista della costa il vento calò e ci trovammo a rollare nel caldo per  quattro interminabili giorni. La breve primavera araba era finita, il cielo era sereno e il sole batteva a picco. Un'umidità calda ci avvolgeva come un asciugamano, l'acqua nella tanica era tiepida e arrugginita tanto che sembrava the. L'equipaggio, come tutti gli arabi, aveva un'invidiabile capacità di dormire quando non c'era altro da fare: si avvolgevano in una vela, prendevano sonno all'sitante e dormivano per interminabili ore. (...) Gli arabi erano stati una grande razza marinara e io stavo viaggiando su quel dhow perchè li volevo vedere con i miei occhi. I loro dhow avevano navigato lungo le coste dell'India fino all'Indonesia e anche più lontano. Nell'ottocento i porti degli Emirati che avevamo da poco lasciato erano meglio conosciuti come la Costa dei Pirati e ancora meno di un secolo fa in queste acque i pirati Jasimi avevano tenuto in scacco la marina britannica per lungo tempo. (...) 
Alla fine si alzò una bava di vento che pareva tenere. Il comandante urlò all'equipaggio che uscì dal suo torpore infinito e inizio a issare e mettere a segno le vele cantando e battendo ritmicamente i piedi sul ponte. 


Arrivammo a Bahrain il 28 maggio 1953, il vecchio comandante quasi cieco andò all'approdo passando a vela piena tra le barche ormeggiate. Alla fine rompemmo un paio di onde basse e andammo a spiaggiarci proprio di fianco a uno dei dhow che erano stati con noi sotto la costa persiana una settimana prima" 
 
Sono più di cinquant’anni che qui si lavora per diversificare l’economia e affermarsi come riferimento nella regione del Golfo. Negli anni ’60 si era dragato e allargato il Creek e agli inizi degli anni ’70 si era costruito Port Rashid, negli ’80 si realizzarono l’enorme porto e la zona franca di Jebel Ali e nel 1985 nacque la compagnia aerea nazionale, la famosa Emirates Airlines. Geograficamente centrale negli scambi tra Europa e Asia, Dubai resta la città con la più alta qualità della vita nella regione: Mercer la pone 75° miglior città al mondo come qualità della vita, la prima nel Medio-Oriente davanti ad Abu Dhabi (83), Musqat (la capitale dell’Oman, 100) e Doha in Qatar (110). Gli Emirati Arabi Uniti in generale sono considerati dall’Economist la quindicesima nazione al mondo per qualità della vita, la migliore del Golfo davanti a Kuwait (23), Bahrain (24), Oman (32) e Arabia Saudita (38). E la stessa crisi edilizia in un certo senso è una manna per gli affari. Oggi si stima che circa il 35% degli immobili di Dubai siano vuoti, questa percentuale è destinata a sfiorare il 50% nei prossimi mesi quando gli ultimi lavori in corso verrano portati a termine. Gli affitti insensati e i costi incontrollabili del 2008 che avevano portato molte aziende a spostare il centro dei loro interessi verso Abu Dhabi, Doha e Musquat si sono dimezzati e stabilizzati. Oggi mettere un ufficio o affittare una casa a Dubai è estremamente conveniente. Negli anni scorsi la penuria di appartamenti e il loro costo spropositato e incontrollabile avevano spinto moltissimi a cercar casa nelle vicine Sharjah e Ajman. Oggi questo flusso è invertito e addirittura c’è gente che lavora ad Abu Dhabi e che sceglie di prendere casa nella zona sud di Dubai, a circa un’ora di strada dall’ufficio.
Insomma, secondo me non è difficile prevedere più o meno quello che succederà. Nei prossimi anni l’economia di questa parte del mondo crescerà a un tasso quasi doppio della media mondiale (la ricostruzione dell’Iraq per esempio rappresenterà da sola una enorme opportunità economica) e Dubai sarà – come sempre – nella migliore posizione per approfittarne. Casomai i veri rischi a cui dovrà far fronte la piccola ma prospera economia dell’Emirato saranno quelli esterni: la crisi europea del debito pubblico, i dubbi sulla sostenibilità del modello di crescita cinese, la geopolitica della regione Medio-Orientale influenzeranno notevolmente la capacità di Dubai di rimbalzare insieme al resto dell’economia mondiale.

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NOTA: entrambe le citazioni di questo post sono come sempre di Wilfred Thesiger, da "Arabian Sands" (scritto nel 1953 e pubblicato per la prima volta a Londra nel '58). La seconda in particolare l'ho aggiunta dopo, perchè volevo fare un regalo alla Fra', trendaduesima benvenutissima lettrice e dedicarla a mia moglie, grande marinaia di mare e di vita a cui voglio bene e dico in bocca al lupo per la loro nuova navigazione in collina.

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