C’è crisi, c’è grossa crisi, e allora quale migliore risposta della fuga? Si si, scappare proprio, rivendicare che non se ne vuole sapere niente e che egoisticamente si vuole essere felici; al martirio ho sempre preferito Colpo Grosso e le sue ragazze Cin Cin. Quindi via! Ma c’e’ sempre un ma in agguato e la certezza non è di questo mondo, e partire può diventare complicato.
Se come scriveva Atzeni il quinto passo è l’addio, possiamo dire che il primo passo è il vaffanculo. Si, perché quando si sta nella propria cameretta, ricovero artificiale modellato negli anni, progettare è facile, si riesce sempre a salvare la principessa e finire il quadro; ma quando si osa tentare di realizzare le follie, non osando dire i sogni visti i tempi che corrono, ci si scontra sempre con la realtà: grigia, fredda e burocratica.
Ormai da un annetto sto riflettendo in quale cimitero asiatico di elefanti andare a seppellirmi. Date le non immense ricchezze in mio possesso, e per custodire le quali la banca mi chiede un obolo mensile, decido che stare in Italia spendendo goccia a goccia tutti i miei averi non ha senso. Se devo essere un pezzente che può solo rimanere ancorato ad un livello di sussistenza, fatto di cola esselunga e cinesi economici, tanto vale andare a fare il pezzente in un paese dove poveri lo sono davvero. E dove la vita costa meno: morire di fame tra dieci anni è meglio che morire di fame tra due anni. Matematica di carestia, e senza la variabile impazzita dell’apparenza sociale.
Dopo lungo pensare scarto la Cina, grande amore che ha imparato troppo bene la lezione degli Stati Uniti e mi oriento su paesi come Laos e Cambogia, dove un criminale è ancora un criminale, e non un commercialista. Qualche mese di titubanze perché il nuovo fa paura, e noi popolo di santi e navigatori abbiano smesso di esserlo quando la Lira è andata fuori corso. Crisi, crisi, crisi, biglietto preso, follia fatta! Logica vuole che da che mondo e mondo si faccia un biglietto sola andata, mica si andava in guerra con un contratto a progetto! Ma oggi il tempo indeterminato non esiste più ed il Mekong manco si sa più cosa sia, la vera apocalisse è adesso!
La compagnia aerea mi vende un biglietto di sola andata, comprato, pagato, era sul sito. I soldi li han voluti, ci piacciono, ma nella carboneria dei forum scopro che senza ritorno non fanno partire. E bravi loro! Li raggiungo, ci parlo, e trovo un muro italiano, gay, sicuro di sè e del suo essere minoranza di potere in lotta per diritti nascondendo i privilegi. Io voglio il Mekong lui il nuovo tablet, e quando si può Formentera. Mi parla ma non dice nulla, io chiedo ma non sono il cliente medio non vengo capito. Io non ho il timore reverenziale. Una vita impedita da una procedura, a questo siamo arrivato oggi. Tutto brutto, come direbbe un vecchio al parco una guerra farebbe drizzare un pò di schiene.
Ma alla fine si parte lo stesso, lottando metro dopo metro. Aggirando trappole ai check in, più pericolosi di mille vietcong dopo il primo BigMac venduto a Saigon. E arrivati altrove sembra tutto più semplice, tra la giungla una soluzione si trova sempre, legale o meno. Mentre qui una cittadella, che costruisce nuovi muri, la gente si rinchiude ma crede di aprirsi al mondo. Solo perché del mondo fa paccottiglia per mobili ikea pagati a rate, perchè volere partire quando c’è sky? Chi vuole partire vuole fuggire, ha qualcosa da nascondere. Oggi si nasce colpevoli, bisogna vivere per dimostrare di essere innocenti, altro che vivere per provare emozioni. Cazzo te ne frega del Mekong?
Oggi la sconfitta è un grande riconoscimento, soprattutto quando di vincere contro il nulla che avanza non se ne ha voglia. Anche se sembra tanto una via d’uscita per intellettuali segaioli, come me. Io parto, al limite posso sempre farmi esplodere, ormai è abbastanza trendy!