Mariagrazia Benvenuti
In una delle mie abbastanza frequenti visite in libreria ho scovato un libro il cui titolo ha subito attirato la mia attenzione “Partorire con il corpo e con la mente” (Bollati e Boringhieri) di Francesca Rigotti che insegna Concetti e metafore della politica presso la Facoltà di Scienze della comunicazione dell’Università della Svizzera italiana di Lugano e collabora a varie testate giornalistiche. Come mamma e come poeta un titolo simile non poteva non suscitare la mia attenzione anche per via del sottotitolo “Creatività, filosofia, maternità”, così l’ho acquistato. Devo dire, però, che mi ha delusa non poco anche se indubbiamente è stato comunque stimolante e fonte di riflessioni. E qui di seguito cercherò di spiegarne i motivi. Innanzi tutto mi aspettavo dall’autrice una maggiore aderenza a quanto “promesso” dal titolo e dal sottotitolo, mentre ci sono nel testo delle divagazioni inutili e noiose perché trite e ritrite e soprattutto fuori tema. Ma andiamo con ordine.
La Rigotti nei primi due capitoli lamenta il “furto” della maternità facendo un excursus dalla mitologia fino ai filosofi come, tra gli altri, Aristotele, Platone e Socrate per arrivare a San Paolo (e quindi a tutti coloro, uomini e donne, che lo hanno fatto e lo fanno ancora a seguire da quelli) che appunto usano il vocabolario della maternità fisica per parlare della maternità mentale, della creazione della mente, del pensiero e contestando, giustamente, come già peraltro fatto da altre donne filosofe e no, il concetto di “natura della donna”. Ci porta poi brevemente a conoscenza di una filosofa inglese Elizabeth Anscombe (cattolica) madre di sette figli che riuscì a conciliare maternità fisica e mentale poi una critica ad Edith Stein e alle sue idee sulla “natura della donna” e una critica a San Paolo sul tema della seconda nascita attraverso un capitolo piuttosto marchingegnoso (mi sono un poco persa tra quelle vite I, II e morti I e III: le cose stanno in maniera un po’ più semplice) e inutile perché rientra nel campo della fede e mi chiedo ancora una volta perché mai i non credenti, che non vogliono ingerenze religiose nelle questioni da loro ritenute di esclusiva pertinenza della ragione, si sentano poi in dovere di ingerire nelle questioni che sono di esclusiva pertinenza delle fede e con non poche imprecisioni. Come diceva Wittgenstein di ciò che non si conosce bisognerebbe tacere o informarsi meglio, aggiungo io. Due imprecisioni che saltano all’occhio in mezzo alle tante che denotano non conoscenza della dottrina cristiana: la Chiesa non approva la pena di morte, e non è assolutamente vero che il non cristiano non abbia alcuna chance di salvezza. Non capisco nemmeno che ragionamento preceda l’affermazione che tra l’altro apre un paragrafo dal titolo “Intelligenza e verità”: “All’interno di tutta questa laboriosa costruzione la morte scade di importanza perché rappresenta “soltanto” la fine della vita fisica e l’inizio di un’altra vita, la vita III o vita infinita garantita dal principio dell’anima”, a parte che la laboriosa costruzione è opera dell’autrice stessa non capisco il senso di quel “soltanto”. Per i cristiani la morte, “Nostra sora morte corporale” è un passaggio, un transito da una condizione ad un’altra, è una soglia, è il momento del ritorno a casa, all’origine: non è un “soltanto” come si dovrebbe ritenere invece lo sia secondo la fede dei non credenti visto che per essi la morte è “soltanto” la fine della vita o di tutta la questione come si esprime la Rigotti. Quindi quel “soltanto” riferito alla concezione cristiana non me lo spiego. Rimanendo in tema di nascite non mi risulta che, almeno in ambito cristiano, (non so se nella concezione laicistica le cose vanno diversamente) si sia mai voluto svalutare la nascita prima, quella dal ventre della madre senza la quale non è possibile nessun altro tipo di nascita, nessun percorso umano e/o spirituale. Voglio dire che il fatto che si parli di una seconda nascita (e non se ne parla solo in ambito religioso) non toglie nulla alla nascita prima; il battesimo è una nuova nascita sì ma una nascita spirituale, una nascita in Dio, l’inizio di un percorso di fede che nulla toglie, anzi semmai aggiunge, alla prima nascita. Anche per i credenti la vita è una e una è la morte. Ma non si può negare che ognuno di noi, credente o non, sperimenta nella vita tante nascite (e dunque altrettante morti, dico in una poesia) che non vogliono rinnegare quella dalla propria madre, come lo si potrebbe!; io stessa quando a venti anni mi sono ritrovata con un bambino tra le braccia mi sono sentita (ri)nascere a una nuova vita con lui, sono nata madre la prima volta e lo sono rinata per ognuna delle altre due gravidanze. Si rinasce dopo un grande dolore, dopo una grave perdita, un trauma, un incidente che ci cambia la vita (tempo fa in tv c’era Alex Zanardi che dopo un incidente si è ritrovato senza le gambe a dover affrontare una nuova vita, a rinascere in una nuova vita; in campo religioso che cosa sono le conversioni quali quella di San Paolo, di Sant’Agostino se non delle rinascite o le “conversioni” di persone che hanno commesso dei delitti?). E dire questo è svalutare la nascita dal ventre di nostra madre? Direi proprio di no, direi anzi che la nascita dal ventre di una madre che è esperienza comune a tutti gli esseri umani ci immette in quella meravigliosa avventura che è la vita. E ringrazio i miei genitori (e da credente Dio) che mi hanno messa al mondo, in particolare, è doveroso, ringrazio mia madre che mi ha partorita e che è l’unica testimone a mia disposizione, l’unica che possa raccontarmi il momento della mia nascita, a questo i filosofi e altri uomini d’ingegno non hanno pensato, ma in verità nemmeno la Rigotti ne fa cenno. Come non fa cenno in mezzo a tutto il suo recriminare sul furto della maternità da parte degli uomini al fatto che Gesù è l’unico a non essersi macchiato di questo furto dal momento che è nato da donna come un qualsiasi altro bambino anche se il suo concepimento non è stato come quello di qualsiasi altro bambino. Quei quattro burloni pieni di fantasia degli evangelisti per il loro Messia potevano pure inventarsi una nascita un po’ più adeguata al personaggio, invece che farlo nascere in modo così umile e banale! (Riguardo poi a Gesù e le donne le consiglio di leggere il Vangelo dove tra l’altro Gesù non ha mai detto che le donne sono prive di anima – ammesso che questo le interessi- né che siano inferiori all’uomo, questo forse sì le interessa. Ah, dimenticavo! Nell’Ave Maria la Madonna è detta Madre di Dio e dai cristiani non è considerata solo la madre di suo figlio- altra prova della non conoscenza approfondita dell’argomento trattato). Ma tornando al furto della maternità, o meglio del vocabolario ad essa connesso, vorrei dire che a me non disturba perché è segno che gli uomini non sono riusciti a trovare una metafora migliore, perché maternità fisica e maternità intellettuale si fondono perfettamente in un unico concetto che è quello della creazione, della creatività. Che il vocabolario della maternità venga usato anche in altri ambiti, che l’amore materno venga preso ad esempio di amore veramente e profondamente creativo, mi riempie di orgoglio. Che dalla maternità intellettuale siano escluse le donne certo questo mi disturba assai e non capisco come uomini anche di una certa cultura e intelligenza possano solo pensare che l’una escluda l’altra. E’ pura follia! Il signor Steiner che lamenta la rarità di grandi intelletti e artefici tra le donne si è mai chiesto se alle donne da quando siamo usciti dalle caverne siano state date le stesse opportunità che sono state date agli uomini? Tra l’altro mi sembra che sia stato trascurato un particolare importante, ossia perché ci sia maternità fisica occorre che all’origine ci sia un due che diventa tre e che quel due è formato da un uomo e una donna perché entrambi sono incompleti (altro che perfezione del corpo maschile!), quindi il due del parto non ci sarebbe senza il due del concepimento. così pure per la mente ci vuole l’intelligenza e la conoscenza, la cultura e una certa dose di sensibilità e intuizione, dalla cui unione può venir fuori l’opera. Inoltre non credo molto alla loro presunta invidia della maternità fisica, (anzi! la mia esperienza personale mi porta a dire che gli uomini son ben felici di non dover partorire, così come di non avere le mestruazioni) come, detto per inciso, non credo all’invidia del pene teorizzata da Freud e nemmeno al complesso di Edipo o di Elettra, diciamo che difronte alla psicologia sono miscredente. Dio stesso ha dovuto far nascere suo figlio attraverso il corpo di una donna, visto che i primi due che aveva creato da solo non gli erano venuti tanto bene! Maria ci ha resi figli legittimi di Dio e non solo figli naturali.
Mi viene in mente che anche le donne si macchiano del furto della maternità quando decidono di abortire. (E non solo! E’ recente la notizia di alcune attrici che hanno affittato l’utero di un’altra donna per far nascere il proprio figlio. La notizia si commenta da sè!) Non capisco, inoltre, perché quando si parla di aborto si parla di trauma. Ma non ci si libera secondo la concezione laicistica soltanto di un ammasso di cellule? – come è da intendere altrimenti, chiedo, tutto quel disquisire sul quando un embrione e/o un feto può essere considerato un bambino, un essere umano? Allora se è solo un ammasso di cellule che differenza c’è tra un aborto e un’appendicite? E se mi dite che c’è differenza dovete darmi una spiegazione logica, razionale per fondare questa differenza!
Avrei voluto più indagine sul rapporto “cuore di mamma” – “testa di mamma” e non dover leggere tutte quelle libere e arbitrarie e faziose interpretazioni delle parole e del pensiero di San Paolo che a detta della Rigotti quando parla della seconda nascita lo fa per denigrare la maternità! Ma per piacere! “Il battesimo coinvolge la svalutazione della nascita da donna, nega ritualmente la capacità biologica della donna di produrre esseri socialmente accettabili”, che già il verbo produrre… ma comunque dove si è mai sentita una simile cosa! La donna mette al mondo un essere umano, poi se è credente, se crede che ci sia anche una vita spirituale, se crede in Cristo lo battezza per immetterlo in una vita improntata ai principi a cui il cristianesimo si ispira, ma qui come dicevo prima si è nel campo della fede e in un libro che ha come sottotitolo Creatività, filosofia, maternità non mi aspettavo di trovare delle disquisizioni peraltro imprecise su temi di fede. Se dunque per lei le questioni religiose (e in particolare quelle della concezione giudaico-cristiana) sono un capolavoro di oscurità, perché parlarne? Perché dire di cose che non si capiscono, cose che chi ha la fede vede e vive illuminate da questa luce? Perché “sprecare” un intero capitolo e qualche altro paragrafo qua e là su temi che la stessa autrice definisce oscuri e comunque lontani, estranei alla sua visione delle cose del mondo e della vita? E soprattutto ripeto da donna che vive in una quotidianità comune a molte altre donne, con difficoltà comuni a molte altre donne, come mamma e come poeta, quindi come donna doppiamente creatrice mi sarebbe interessato maggiormente un discorso più pratico, più terreno… benché non disgiunto dal mondo delle idee.
Vorrei poi aggiungere che il linguaggio è patrimonio comune e non vedo come l’uso delle metafore possa essere considerato un furto, in quest’ottica allora i poeti sono dei ladri incalliti! Le idee si covano, si fanno viaggi con la mente, si edifica un sistema di pensiero…
Avrei voluto allora magari che si parlasse, come accennato, della madre come unica (o quasi) testimone della nostra nascita, e anche dei mesi della gestazione, prima che il bambino nasca quando tutte le attenzioni sono rivolte alla futura madre per poi passare in secondo piano una volta partorito. In secondo piano per gli altri ma mai per il neonato se ho incontrato persone che ormai anziane portano ancora dentro il vuoto procurato loro dal non aver mai conosciuto la mamma, il peso e il pianto di e per quell’assenza così forte, così sentita.
Il momento del parto è importantissimo, non voglio assolutamente sottovalutarlo (io che di figli ne ho tre) ma il parto è un momento appunto, l’importante è quello che segue, è crescerlo il figlio, amarlo, educarlo e mi provoca pure un senso di imbarazzo scrivere queste parole per dire concetti risaputi e ribaditi. Penso alle donne che i figli non li partoriscono ma li adottano, li amano e li crescono come fossero sangue del loro sangue. In sostanza a partorire siamo capaci tutte pure quelle che poi il figlio lo gettano (tanto per sottolineare un termine caro ad Heiddeger e non tanto a me) in un cassonetto. Per questo dico che avrei voluto leggere d’altro, avrei voluto allora che fosse la Rigotti stessa a colmare questa lacuna a rendere giustizia alla presenza della madre, del distacco, del parto. Ne parla un poco nell’ultimo capitolo e in particolare negli ultimi due paragrafi in cui c’è peraltro una convergenza con il pensiero di Simone Weil. Là dove Simone Weil aveva già parlato ben prima della Rigotti dell’attesa e dell’attenzione, anzi dell’attenzione creatrice concetto a lei tanto caro che è quella capacità di cura delle cose, cura del particolare, del piccolo e indifeso come sono non solo i bambini ma tutti gli esseri esposti alla vita.