Nelle sale dallo scorso 9 gennaio, il nuovo film di Paolo Virzì, Il capitale umano, presentato da Indiana Production e Rai Cinema, suscita già diverse polemiche tra gli abitanti della Brianza (non manca ovviamente il politico di turno e cioè Andrea Monti, assessore leghista al Turismo e Sport della Provincia di Monza e della Brianza) riunitisi dietro un velleitario “ribelliamoci!”. Prendendo le distanze da oziose e campanilistiche prese di posizione, resta la constatazione di una pellicola che vale la pena andare a vedere. Scritto in collaborazione con i “fidati Franceschi” (Francesco Bruni e Francesco Piccolo), il regista livornese si cimenta in un genere definito thriller noir, drammatico senza ombra di dubbio. Tratto dall’omonimo romanzo (del 2004) dello statunitense Stephen Amidon, l’adattamento di Paolo Virzì prevede innanzitutto un cambio di ambientazione: dall’originario Connecticut a Ornate, città inventata cui fa sfondo la Brianza appunto, e Milano. Location decisamente appropriate, dato che molto del sottotesto della pellicola si basa su spericolate e mirabolanti speculazioni economiche, a danno di molti e a favore di pochi, pochissimi privilegiati.
Un lussuoso SUV investe un povero ciclista. Il film è diviso in tre capitoli, ognuno dei quali dedicati alla personale (e parziale) visione di uno dei protagonisti – Dino, Carla e Serena – su alcuni eventi in particolare, più un quarto capitolo – Il capitale umano – risolutivo (solo ad un livello epidermico, in effetti) della vicenda. Sei mesi prima dell’incidente stradale, le famiglie Bernaschi e Ossola entrano in contatto grazie all’avvicinamento dei loro figli adolescenti. Dino Ossola (Fabrizio Bentivoglio) accompagna la figlia Serena a casa del fidanzato Massimiliano, unico erede del ricco borsista Giovanni Bernaschi (Fabrizio Gifuni): grazie ad una partita di tennis Dino, immobiliarista sull’orlo del fallimento, arrivista e arrampicatore sociale, ha modo di stringere (poco saldamente) amicizia con il re della finanza Bernaschi e, attraverso lui, intravede la possibilità di facili guadagni. Pur non avendone la possibilità economica, decide di investire del denaro nel fondo azionario di Bernaschi, mettendo a rischio il futuro dei suoi figli, uno dei quali in arrivo, e dell’ignara moglie, Roberta (Valeria Golino).
L’altra faccia della medaglia è rappresentata dalla intrinseca vacuità morale di questa lucente classe dirigente, personificata nella figura della moglie di Giovanni Bernaschi, Carla, interpretata da Valeria Bruni Tedeschi. Il suo ruolo di moglie esornativa, risulta un po’ deluso in termini di cliché estetici, ma vincente nell’interpretazione: costantemente dedita a costose quanto inutili attività (esplicative, in tal senso, le lunghe e pensate istruzioni fornite all’autista sul luogo in cui recarsi), riempie le sue altrimenti vuote giornate con tali futilità, ignorata intellettualmente da un marito troppo impegnato e da un figlio adolescente con l’hobby dei festini. Anche l’impresa di ristrutturazione del teatro cittadino, in qualità di ex attrice, si rivelerà priva di una reale struttura intellettuale portante e cadrà come un mazzo di carte sotto il peso di un assillante tornaconto economico.
L’unico spiraglio di speranza sembra provenire dal personaggio di Serena Ossola, figlia dello sgradevole Dino, interpretata da Matilde Gioli, new entry nel mondo cinematografico, dotata di una bellezza ipnotica. Serena fa da ponte tra diversi livelli sociali e, contrariamente al resto dei personaggi, le sue scelte non sono dettate unicamente dall’interesse economico. E il ciclista investito? In realtà questa muta vittima di pirateria stradale è, nel poco peso e spazio che riceve, l’emblema stesso di quel “capitale umano” a cui il titolo fa riferimento: la meschinità che sottende dietro la presunzione di poter calcolare secondo parametri scientifici il costo non della “Vita umana”, ma di “una” vita umana. Quello di Virzì è dunque un film molto cupo, il cui senso sembra fare il verso alla celebre frase contenuta ne Il Gattopardo: “Tutto cambia affinché nulla cambi”.