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Pasolini | intorno alla musica di salò

Creato il 29 ottobre 2015 da Amedit Magazine @Amedit_Sicilia
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pasolini_la_musica_salò_120_giornate_sodomaINTORNO ALLA MUSICA DI SALÒ

di Giancarlo Zaffaroni

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Pasolini costruisce il suo cinema attraverso riferimenti letterari, filosofici, arti figurative e musica, intrecciando piani temporali, concettuali e culturali. In Salò o le 120 giornate di Sodoma, oltre a Dante e De Sade (tre gironi e quattro Signore narranti), alcuni riferimenti sono segnalati nella Bibliografia nei titoli di testa che, sdrammatizzata dalla canzonetta senza parole arrangiata da Ennio Morricone (These foolish things), mette lo spettatore in condizione di difetto rispetto all’autore che gli impartisce un’educazione sadiana. Un riferimento figurativo è Las meninas di Velázquez, incarnato dalla bionda figura biancovestita della prima narratrice. Lo specchio, centrale nel quadro, appare in tre esemplari mentre la Signora si prepara: il riflettersi vuoto allude al mondo autistico di Salò che esclude lo spettatore dall’identificazione, fino alla trappola finale.

Per Pasolini la musica “sfonda le immagini piatte aprendole sulle profondità confuse e senza confini della vita”: in Accattone la musica di Bach ha funzione tematica, il coro finale della Matthäus-Passion santifica amore e morte dei poveri cristi come quelli di Gesù; nel Vangelo secondo Matteo lo stesso coro è accostato alla gioiosa Missa Luba e alla Musica funebre massonica di Mozart, altro maestro di unione degli opposti come in un momento drammatico del Flauto magico dove sovrappone un corale protestante e un Kyrie cattolico: il cinema continua l’opera lirica con altri mezzi. Pasolini ama Bach dai tempi di Casarsa, a partire dalle Sonate eseguite dall’amica Pina Kalč, in particolare il “siciliano”, sospeso fra carne e cielo racconta un Pier Paolo immedesimato. Violino e archetto giacciono su un divano nella sala dove i Signori filosofeggiano: persone colte che non hanno imparato nulla sull’umanità, non c’è grandezza nella loro crudeltà ma debole meschinità, banalità del male, regole scritte per puro desiderio di potere e trasgressione.

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In Salò la musica è dominio di una Signora senza nome che suona il pianoforte fuori sincrono, controcanto straniato o ironico ai racconti. Bach ritorna in una Pastorale suonata alla fisarmonica durante il matrimonio dei tre Signori en travesti con tre ragazzi, insieme a canzoni e musiche di Chopin suonate al pianoforte. Lo sfondo storico-culturale è ricostruito con canzonette e ballabili trasmessi dalla radio insieme a un discorso di Hitler e al 99° Canto di Ezra Pound (anacronismo, la poesia è del 1957). Dopo la prima cena carnefici e vittime si uniscono in un momento d’intimità emotiva in un canto alpino-militare (“la meglio gioventù che va sotto terra”). I Signori accennano canzonette sarcastiche come Torna piccina mia o Quel motivetto che mi piace tanto, virato in Dàda-dadà-dadà alludendo al movimento artistico. Il rombo degli aerei è incombente pedale sonoro. Solo due persone si ribellano, il giovane Ezio, amante della “serva negra” che muore come un san Sebastiano comunista affascinando i suoi carnefici, e la pianista. Sola, suona inconsapevole all’inizio delle terribili scene finali, sale sfinita al piano superiore, vede l’orrore osceno e si suicida immediatamente buttandosi di sotto. La musica le ha conservato un barlume di compassione. Scatta la trappola dell’identificazione che ci fa guardare torture e omicidi dal binocolo usato dai Signori per osservarsi a vicenda. Identificazione anche con l’autore, perché “noi come lui siamo risucchiati tecnicamente dentro l’immagine, e dunque parimenti complici di quella riduzione del corpo a puro oggetto” (Gian-Maria Annovi). Vediamo le urla di carnefici e vittime, ma sentiamo solo musica e poesia che rendono tutto distante aumentando l’orrore del voyeurismo. Per un momento il Duca rovescia il binocolo e i particolari ingigantiti diventano una visione infernale alla Bosch. In queste scene la musica è potente: dopo il pianoforte, sentiamo il canto montanaro Stellutis alpinis e Veris Leta Facies dai Carmina Burana di Carl Orff, musica fascista secondo Pasolini (il rapporto di Orff col nazismo è controverso, al solito). La musica inizia con suoni stridenti e acuti, seguiti da accordi profondi che reggono una cantilena tutt’altro che primaverile, ieratica, alleggerita con intermezzi di campanelli e flauti, suoni che restano per sempre associati all’orrore.

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Infine uno dei due ragazzi-guardie che proteggono i Signori osservanti, a loro volta osservatori dell’inferno, cambia stazione alla radio e riappare These foolish things, chiusura del cerchio sonoro. Chiede all’altro se vuole ballare e questo accetta: “– come si chiama il tuo ragazzo? – Margherita” sono le ultime battute. Il nome è allusione faustiana? Di quale genere è Margherita? Forse bastano un abbraccio e un ballo per dimenticare l’orrore, oppure siamo diventati del tutto cinici, sedotti dal male.

Giancarlo Zaffaroni

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Cover Amedit n. 24 - Settembre 2015

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“Noli Me Tangere” omaggio a Pier Paolo Pasolini.
by Iano 2015

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Questo articolo è stato pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 24 – Settembre 2015.

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