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Pasquarelle e Befana in Valnerina

Creato il 03 gennaio 2012 da Berenice @beneagnese

Pasquarelle e Befana in Valnerina

La sera del cinque gennaio, vigilia dell'Epifania, nelle vie di molti paesi della Valnerina, gruppi di giovani cantando portano l'annuncio augurale della nascita di Cristo e del nuovo anno.

I gioiosi cortei sono capeggiati nella maggior parte delle volte da un Vecchio e da una Vecchia e vanno di casa in casa a raccontare la storia di Gesù Nazzareno domandando in dono cibarie varie, da consumare successivamente in una cena comune.

"Nu' scimo vinuti co' tutta creanza, sicunnu l'usanza la Pasqua a cantà" - cantano i giovanotti e aggiungono in rima richieste di provvigioni e vino della cantina. I cantori sono accompagnati dal suono della fisarmonica, dell'organetto, dei tamburelli, triangoli, caccavelle e strumenti originali costruiti con fantasia.

La Pasquarella, chiamata anche Pasquella o Pasquetta, deve il suo nome alla Pasqua Epifania (si chiamavano Pasqua le maggiori festività religiose) e rappresenta il più diffuso canto di questua presente oggi in Umbria, dal forte significato mistico-pagano.

Un tempo l'inizio dell'anno era particolarmente indicato per fare raccolte alimentari, in quanto nelle dispense, di solito magre, si trovavano, invece, salumi, fegatelli e carne di maiale appena lavorati, vino nuovo, olio, uova, noci, mostaccioli e dolci vari. Gli alimenti elargiti venivano deposti in un cesto, le carni infilate in uno spiedo e il vino raccolto in una damigiana. La richiesta dei Pasquarellari era esplicita: "Se ce date 'na sargiccia / fra li denti non se 'mpiccia / se ce date un sanguinacciu/ lo mettemo sotto braccio. Se ce date 'na gallina /non importa se piccolina /ché non sia una bioccaccia /viva viva la Santa Pasqua...."

Oggi, più comunemente nel cesto della questua vengono deposte monete, torroni, panettoni industriali e spumante. Solo qualche famiglia di agricoltori offre ancora coppie di uova fresche, frutta secca o dolci fatti in casa. Originariamente i gruppi dei Pasquarellari erano formati solo da uomini, ormai sono ammesse anche le donne e i ragazzi.

La duplice cerimonia del chiedere e del ricevere viene accettata spontaneamente e tacitamente e la tradizione è talmente viva e scontata che non risulta difficile per i cantori recarsi, bussare nelle case e sollecitare un'offerta; anzi rappresenterebbe quasi un'offesa non visitare tutte le abitazioni. Questo aspetto, ancora una volta, rafforza il convincimento che le tradizioni hanno la funzione di aggregare, di scongiurare l'isolamento e di garantire un'identità comune. Ciò è così vero che nel caso della Pasquarella, come in altre occasioni rituali, la partecipazione di coloro che per motivi di lavoro si sono trasferiti dai paese nelle città, è sempre garantita.

I canti e l'accompagnamento musicaledifferiscono da luogo a luogo e ogni paese possiede uno o più testi corredati di melodie diverse (valzer o saltarelli), anche se lo schema dell'annuncio della buona novella, della richiesta di cibo, degli auguri per il nuovo anno e del ringraziamento è comune a tutte le versioni.

Una strofa particolare cantata nei paesi di Sellano, Cerreto di Spoleto e Meggiano conserva ancora il significato originario che la chiesa orientale attribuiva all'Epifania cioè quello di ricorrenza del Battesimo di Cristo e non di manifestazione di Gesù ai Magi, come è intesa nell'occidente.

La permanenza in Valnerina di un'interpretazione ortodossa della ricorrenza potrebbe essere legata all'evangelizzazione della zona attuata nel V secolo dai numerosi eremiti provenienti dalla Siria.

Il canto delle Pasquarelle ricorda così il Battesimo- Epifania: "Sulle rive del Giordano/ dove l'acqua diventa vino / per lavare Gesù Bambino/ per lavare la faccia bella/ l'anno nuovo e la Pasquella ".

Il carattere profano dei cortei è sottolineato dalla presenza della Vecchia e del Vecchio. I personaggi sono incarnati da due uomini vistosamente truccati e resi irriconoscibili sotto la parrucca: uno di loro ha un fazzoletto annodato in testa, l'altro porta il cappello. Uno mostra la gobba, l'altro rotondità femminili ottenute con gli stracci infilati tra i vestiti. Sono la metafora della Befana ( madre natura) e del vecchio anno appena terminato: rinseccoliti e imbruttiti dallo scorrere dei giorni, se ne vanno dopo aver elargito gioia e doni, rigenerando la vita.

I doni sono portati soprattutto dalla Befana che continua ancora, nonostante il passaggio del munifico Babbo Natale, a elargire regalini insieme a carbone e frutta secca, emblematici portafortuna e talismani contro i malefici. La Befana entra nelle case infilandosi durante la notte del 5 gennaio giù per le canne annerite dei camini e, una volta fatto il proprio dovere, ripartein groppa a un somarello e non a cavallo della scopa come si racconta in altri luoghi. Ma come ovunque, la Befana sarà attenta a non farsi vedere dai bambini , accontentandosi di assaggiare ciammillitti e mostaccioli preparati per il giorno di festa e lasciati sul bordo del focolare in segno di accoglienza insieme a un po' di vino caldo e di fieno per sfamare l'asinello.


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