Ilaria Brera & Federica Padovani per Non solo Mozart
Quod non fecerunt barbari, fecerunt Barberini.
Non tutti sanno che questa nota frase — che tradotta letteralmente significa “quello che non fecero i barbari, fecero i Barberini” — è una delle più famose “pasquinate” della storia, cioè una delle tante iscrizioni satiriche che nel corso dei secoli hanno accompagnato, loro malgrado, i potenti di Roma. Chi la scrisse resta sconosciuto, ma quel che è certo è che la frase apparve un giorno sopra la statua di Pasquino [nella foto di apertura], un torso di marmo bianco di epoca romana, a dir la verità alquanto malridotto, che godette però di una gran fama, non solo in città.
Ma chi è Pasquino? Come accennato è un frammento di statua marmorea di epoca romana, rappresentante forse Menelao mentre cerca di sorreggere il corpo di Patroclo morente; e forse adornava una nicchia dell’imponente Stadio di Domiziano, che si ergeva proprio nei pressi del luogo in cui fu ritrovata, dietro piazza Navona. Il suo nome invece sembra derivare da quello di un ciabattino o forse di un oste o ancora di un maestro di scuola, che nei pressi della statua doveva dimorare e che forse somigliava per lingua o per volto al nostro Pasquino.
La statua trovò dimora in un angolo esterno dell’imponente palazzo Carafa, oggi Palazzo Braschi, e da subito, a suo modo, iniziò a “parlare” grazie ai numerosi cartelli che quasi ogni notte le comparivano appesi al collo: il popolo romano iniziò a considerare Pasquino come il proprio portavoce e paladino, affidandogli di volta in volta il proprio malumore, i pettegolezzi e gli sberleffi rigorosamente rivolti alla classe dominante, in primis il papa e la sua famiglia. I componimenti potevano variare: da brevi frasi pungenti a vere e proprie poesie con tanto di rima, spesso anche in latino. Tutti indizi che fanno supporre che chi scriveva non fosse un popolano qualunque (anche perché i popolani erano perlopiù analfabeti) ma un personaggio colto che raccoglieva le opinioni comuni esponendole pubblicamente, con il vantaggio di poter rimanere nell’anonimato e non essere così colpito dalla severa giustizia papalina.
Ma Pasquino non era solo in questo ardito compito: con lui c’erano altri cinque compagni, tutti ancora oggi visibili nel centro di Roma e denominati il Congresso degli Arguti.
Il primo è Marforio, una grande statua marmorea di epoca romana, raffigurante forse una divinità fluviale distesa su un fianco, con una lunga barba, trovata nei pressi del Foro e oggi conservata ai Musei Capitolini. Fu la “spalla” preferita di Pasquino, al quale non di rado forniva il “la” per qualche battuta pungente, come quella diretta a Napoleone e agli invasori francesi: “È vero che i Francesi sono tutti ladri?” domandò Marforio e Pasquino rispose: “Tutti no, ma Bona-Parte”.
Si prosegue poi con l’antagonista di Pasquino, il Babuino [nella foto], la celebre statua di un Sileno che diede il nome all’intera via del Babuino. Anch’essa reperto romano, fu rinvenuta durante gli scavi di sistemazione della strada e, per la sua bruttezza, fu identificata dai passanti con una scimmia, dal che proviene il suo curioso soprannome. È forse la seconda statua parlante più famosa di Roma, tanto che le sue satire invece di essere definite “pasquinate” possono essere a buon diritto chiamate “babuinate”.
Nascosto in un angolo dietro la chiesa di Sant’Andrea della Valle c’è l’Abate Luigi, dal nome forse del sacrestano della vicina chiesa del Sudario – la più sfortunata delle statue parlanti, non solo perché ha molto vagato prima di essere collocata nella sua attuale posizione (piuttosto mortificante) ma anche perché nel corso dei secoli, quasi a intervalli regolari, letteralmente “perde la testa” a causa di atti vandalici. E pensare che sul suo basamento è riportata la seguente scritta: “Fui dell’antica Roma un cittadino, ora Abate Luigi ognun mi chiama. Conquistai con Marforio e con Pasquino nelle satire urbane eterna fama, ebbi offese, disgrazie e sepoltura, ma qui vita novella e alfin sicura”.
La più “giovane” statua del Congresso degli Arguti è invece il Facchino, fontanella incastonata in un angolo di palazzo De Carolis, lungo via Lata: sembra sia stata costruita alla fine del XVI da Michelangelo in persona, anche se con molta probabilità la paternità è da attribuire ad un altro artista del tempo, Jacopo del Conte. Il nome si riferisce al suo abbigliamento, tipico della corporazione dei facchini, anche se la botte da cui versa acqua lo fa ritenere in realtà un “acquarolo”, cioè un antico venditore d’acqua — mestiere molto diffuso nella Roma di una volta, quando l’acqua corrente era un privilegio di pochi. Sembra che un’iscrizione, oggi scomparsa, coronasse questa graziosa fontanella: “Ad Abbondio Rizio, coronato – facchino – sul pubblico selciato, valentissimo nel legar fardelli. Portò quanto peso volle, visse quanto poté; ma un giorno, portando un barile di vino in spalla e dentro il corpo, contro la sua volontà morì.”
E infine, a chiudere in bellezza i componenti di questo stravagante circolo c’è Madama Lucrezia, l’unica statua femminile a Roma ad avere l’onore di parlare. Si tratta di un gigantesco busto marmoreo di epoca romana, raffigurante la dea Iside o forse una sua sacerdotessa, rinvenuto nell’area che un tempo fu sede del famoso santuario dedicato alla dea egizia e oggi posto all’angolo di piazza San Marco. Il nome Lucrezia le deriva da una nobile fanciulla vissuta nel XV secolo, Lucrezia d’Alagno, divenuta famosa per essere stata l’amante del re di Napoli Alfonso V, e trasferitasi a Roma proprio in seguito alla morte del sovrano. Madama Lucrezia non solo ebbe il privilegio di parlare ma, fino a non molti anni fa, era talmente apprezzata dal popolo che chiunque passasse davanti a lei pare chinasse il capo in segno di riverenza. E non solo: era la protagonista indiscussa del famoso e quanto mai stravagante Ballo dei Guitti, una festa primaverile in cui tutti, ma soprattutto i gobbi e gli storpi della città, si lanciavano in sfrenate danze attorno alla statua, per l’occasione adornata con corone di ortaggi vari, peperoncini, aglio e cipolla. Inoltre, solo in questo giorno, gli innamorati potevano recarsi di fronte a Madama Lucrezia e sancire il loro amore con un matrimonio fittizio, ma tutto da ridere. Nonostante il tempo abbia cancellato i ricordi di queste feste, il carattere romantico della statua resta vivo nella tradizione: sembra che il mal d’amore possa essere miracolosamente guarito sfiorando solamente il prosperoso seno di Lucrezia…
Con il trascorrere dei secoli, Pasquino e il Congresso degli Arguti persero molta della loro loquacità, poiché venne a mancare il bersaglio preferito delle loro satire, cioè il papa-re e più in generale la classe dirigente che aveva governato Roma. Con l’Unità d’Italia infatti molte cose cambiarono e lo stesso Pasquino non trovò più quel fertile terreno di una volta, tacendo per la maggior parte del tempo, tornando ogni tanto a parlare solo in occasioni davvero speciali. Oggi infatti di tanto in tanto si può scorgere qualche cartello ancora appeso a queste antiche statue, ma ovviamente non si ha più quella forza prorompente della satira di una volta — affidata ormai, come molte altre cose… alle nuove tecnologie.
Articolo di Ilaria Brera e Federica Padovani dell’Associazione Culturale L’Asino d’Oro, che organizza visite guidate e passeggiate a Roma.