In calce a questo mini-paragrafo introduttivo, propongo alcune poesie di Luciano Troisio, tratte dal volume di versi Strawberry-stop (LietoColle, Faloppio, 2008); quattro le ho trascritte per intero, dell’ultima riporto invece una serie di stralci. Mi auguro che tutte possano adeguatamente esemplificare quanto ho già detto, nel mio breve post d’inizio luglio, circa l’autore sunnominato e lo stile di sue due pubblicazioni abbastanza recenti, che si rivelano entrambe incentrate sul tema del viaggio: mi riferisco a Strawberry-stop, per l’appunto, e al diario (con “inflessioni” narrative) Nuvole di drago.
Pietro Pancamo
PASSA IL BONZO DA LONTANO
Passa il bonzo con la tonaca amaranto e bordò
lo vedo dall’alto da lontano attraversare un prato
di erratici neri massi costellato
che stupirebbero uno scultore non figurativo
sul sentiero che risale verso la casa
dove credo si rechi a elemosinare secondo l’uso
ogni mattina verso le nove e mezza.
Lo seguo durante il breakfast dalla terrazza
della mia Guest-House Mealy Chenda
che digrada alta sul Golfo del Siam
con una straordinaria vista
(ma con pessimo udito perché
i camerieri buzzurri urlano e sghignazzano
indifferenti al fatto di infastidire
i nobili vecchiotti clienti stranieri che pagano il quadruplo
e vorrebbero almeno godere della visione del mare
con camerieri non dico fuori campo
ma almeno, diamine
fuori onda).
Prima che l’omelette si raffreddi
e il monaco sparisca tra lussuosi alberi
mi affretto a descrivere il parasole
che rallegra la solitaria mattina esotica,
con esso l’umile bonzo si ripara
è un grande comune ombrello da uomo
ma di colore giallo caldo che
ha un effetto straordinario
per l’elegante spontanea armonia
con la tonaca e ricorda tanti altri passaggi
di monaci singoli in gruppo frettolosi scalzi
lontani, contro sole, rapati, in strade polverose
qualche mattina perfino con un po’ di nebbia
a Phnum Pénh, Ayudhya, Kathmandu, Leh, Polonnarua
con tuniche ombrelli recipienti per il riso bisacce
di infinite sfumature armoniche di un’astratta
gamma straordinaria allegra severa
che anche Burri apprezzerebbe.
Mi sono sempre ripromesso di documentarle,
ne ho distrattamente filmato alcune
sono tinte di tale bellezza da rimanere
nell’intimo ineffabili (nonostante
la commistione delle immagini)
inespungibili nel data-base.
LA PASSERELLA DEI DIFFORMI
Bighellonare nei bei posti, nei lungofiume
passata la calura verso sera
le ombre si allungano
le barche sono quasi immobili nel Mekong
(là dove riceve il grande affluente Tonle Sap),
straordinariamente calme,
delibate nel paesaggio raffinato
policromo.
Ma ovunque un elemento stride:
ad es. ora un giovane khmer
insegue una ragazza indigena
che si accompagna a un vecchio bianco
forse una prostituta (ma non è detto, non si può
affatto escludere a priori che tra loro
non ci possa essere anche una briciola
di lealtà sentimento, eppure)
il giovane gagliardo non rinuncia alla presa pubblica
nel dehors dell’elegante bar River Side
dalle enormi poltrone di vimini all’incrocio
sul quieto lungofiume di Phnum Pénh,
è insistente e il suo messaggio significa:
anche tu sfrutti godi di lui quindi sei come me,
mi spetta di diritto la mia parte di godimento,
e alla fine per non creare ulteriore imbarazzo
forse imbeccata dal vecchio
– ambedue appaiono corretti educati dignitosi –
la ragazza estrae una banconota per liberarsi
(ma da che cosa,
da chi si svincola veramente quella ragazza?)
Mendicanti vengono a esibire carrozzelle di deformi
mutilati o bambini strazianti che possono camminare
hanno teste enormi mostruose
altri con segni di malattie terribili
miti ridenti di buon animo.
[Noi cinici obesi cardiopatici che conosciamo Calcutta
non ci agitiamo per nulla
essendo sotto il controllo di betabloccanti
per non morire subito].
È probabile che nessuno li aiuti,
ci ricordano che non possono essere
eliminati dalle nostre eleganti istantanee
come invece vorremmo
[anche noi crediamo di aver eliminato i nostri difformi
li abbiamo esclusi dai paesaggi
e quelle volte che per caso li incontriamo
ci infastidisce il solo fatto che esistano
perché li abbiamo diretti alla loro emarginazione
interfacciano con equa condizione
quell’incontro ci agita di nuovo di fronte a rifiuti
a nefande chiusure su cui in seguito abbiamo ben costruito,
che eravamo certi di aver sistemato].
Siamo stati costretti a gustare i filetti
nei simpatici dehors fioriti
mentre dal marciapiede
una decina di lebbrosi non cessava di implorare.
Le nostre amiche così sensibili hanno preferito
sedere dando loro le spalle mentre noi
opposti rozzoni abbiamo sostenuto gli sguardi
gentili assieme agli altri travalicanti.
Si sa che i normali accompagnatori
li prendono in affitto perché rendono bene,
che a loro non resta nulla nemmeno del dollaro
che diamo per nostra [quasi]
identica disperazione.
SULL’ESPANSIONE
Durante i viaggi lunghi,
di almeno due mesi,
si spera disperatamente che
le fatiche gli strapazzi
facciano perdere peso.
Non che si possano seguire diete
perché si rischia di indebolirsi
e infatti a volte gira la testa non solo
per la sindrome di Stendhal
(di cui però si soffre soprattutto nel Bel Paese;
lo scrivente,
che ne era gravemente afflitto,
a lungo vivendo in certe zotiche nazioni
ricche di rape, slivoviz, cotenne di porco e paprica,
che per gentilezza non nomina,
è completamente guarito almeno da questa)
ma proprio per la fatica per le molte ore
in battello, in bus, su e giù per argini terrosi
con logistica a carico, frontiere stressanti
stradacce tutte buche,
alzatacce,
così, pur mangiando poco, sudando
e camminando molto succede che
il volto smagrisce in sinergia con l’odiata vecchiaia
anche le gambe dimagriscono
è tipico del maschio
le amiche megapigie per questo aspetto ci invidiano
ma non cala
affatto il giro vita
(anzi: la panza
si è espansa).
INIZIO DELLA SENSAZIONE DI MALESSERE
La sensazione di malessere
giunge inaspettata
non ha apparenti cause
c’è un istante
nettamente identificabile in cui
uno si dice: da questo dolciastro momento
comincio a star male,
non sa spiegarsi perché
e naturalmente
la prima cosa è agitarsi
il che comporta un ulteriore
aggravamento dei sintomi
in sinergia con tutto
ciò che è negativo.
Qui si ha la prova di come
l’umano sia composto
anche di una parte immateriale
sopita al di là
degli interruttori e dei campanelli
paese interno ignoto
che si manifesta nel massimo dei suoi
considerevoli poteri e viene
a complicare a moltiplicare il panico
il terrore della fine
(che però è fisiologica)
con aumento della salivazione,
del battito.
Sarebbe augurabile avere vicino altri esseri umani ma
nelle società civili al vecchio questo raramente è concesso
e deve quindi imparare da subito
a controllarsi a gestire
in solitudine l’attraversamento
della frontiera
verso la silenziosa nevicata
degli asfodeli senza peso.
LETTERA ALLA PSICHIATRA
“Cara Maria,
tutto come prima
solo che, come nella barzelletta,
(me la faccio ancora addosso ma)
non mi preoccupo più di nulla…”
[...]
Devo ammettere che queste gocce
potrebbero avere non poco influito
sulla mia felicità
nello scrivere durante il viaggio.
Stamattina [...]
durante l’evento del breakfast non incluso
che comprendeva una stupenda
baguette diversamente lunga,
calda croccante per 2000 dong
[...]
ex abrupto mi è scappato di prendere appunti
sull’agenda Antonveneta d’emergenza da cui mai mi separo,
quindi: appurato che con 7 dollari si può visitare
(english speaking guide) l’intera città proibita
e imperiale di Hue,
[anticipo trattarsi di banale recente invenzione,
da splendida operetta realizzata dai francesi nel tardo 800
mentre i grulli itali geometri
in viaggio col Cral sono convinti
che le sculture dei mandarini dei cavalli e degli elefanti
risalgano al 400, poverini perché disilluderli?]
nonché fare il giro in barca sul Fiume Profumato
(il poetico nome deriva da certe piante officinali,
temo ora estinte,
che crescevano sulle sponde)
per poi scendere ai vari approdi,
ogni volta prendere in affitto una diversa prezzolata moto
scapicollarsi per sentieri nefandi
al fine di perlustrare alcune lontanissime tombe imperiali
mi chiedo se ne valga la pena,
dottoressa che non rispondi,
invece di uscire per vedere questo fantasma di città
dissuaso per la verità
da un’afa davvero insopportabile,
sono rientrato alla mia fredda stanza
e ho scritto (forse) la più bella, finora, pagina del viaggio.
Esprimo gratitudine alla Multinazionale Farmaceutica.
Mi sto orientando a credere che sia
la mia sottile malattia
a costringere l’ascosa bravura
a rimanere inespressa.
[Preoccupazione del giorno: le gocce stanno per finire.
E poi?
Cesserà la bravura.
(E che sarà di noi?)]
Ex docente di atenei come ad esempio quelli di Padova, Pechino, Shanghai, Bratislava, Lubiana e Melbourne, nonché globe-trotter di professione che dal 1975 peregrina per l’Asia allo scopo di stendere diari o reportage, il poeta, novelliere e giornalista Luciano Troisio ha dato alle stampe numerosi volumi fra i quali – oltre a Viaggio a Ko Ciang (ilverri, Milano, 2001), Strawberry-stop (LietoColle, Faloppio, 2008) e Nuvole di drago (Edizioni Il Foglio, Piombino, 2009) – spiccano senza dubbio sia Tirtagangga e varie sorgenti (1999) che Parnaso d’Oriente (2004), entrambi usciti a Venezia per i tipi della Marsilio Editori.