Che esultanza è mai questa che tu ricerchi, dopo tutto quel giacere a mezz’aria e quell’arrotolarti in spirali chiuse e lubrificate dove solo tu e il tuo sogno respirate? Dopo aver sfogliato album di esistenze voluttuose e narrato a te stesso aneddoti gonfi di sensazioni - spasmi di evasione verso estasi perfette – concatenati l’uno nell’altro come un fiore che si apre e si sfoglia all’infinito, mostrando petali sempre morbidi e nuovi, tu cerchi ora l’aria vera, odori di erbe conosciute; camminando, sussulti per un ronzìo d’api, sentendo solo il crepitare delle foglie calpestate dai tuoi passi e il fango rappreso dalle piogge recenti e i fruscii tra gli arbusti e dietro le pietre e rumori di acque strette che corrono attraverso il bosco. Come se le tue vene portassero sangue denso, gravido di emozioni accumulate e vissute solo nei recessi tuoi nascosti, adesso è il distacco che cerchi. Vuoi frantumare le pareti di quel tuo mondo spiraliforme, sentire il tuo sangue fluire vivace ancora, le sue cellule rotolare libere. Vuoi gettare via come un rifiuto il liquido denso rappreso che frena il tuo respiro e limita lo stesso dispiegarsi delle possibilità che un’esistere introiettato non ammette. Esulta, allora, adesso che respiri di nuovo; senti il terreno; intrattieni la mente in occupazioni nitide, lascia che si svuoti delle tue liquide proiezioni, permetti che essa firmi, con te corpo, un armistizio fondato sul rispetto e sulla necessità del tempo.
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