Ogni tanto ho l’impressione, riavvolgendo i miei ricordi, che l’era della mia infanzia si perda nella notte dei tempi, in un’epoca felice, una sorta di età dell’oro nella quale, benché fossimo probabilmente un po’ più poveri eravamo, se non altro, un po’ meno ansiosi e stressati.
Era l’epoca in cui vivevo a Milano e, pur abitando in una via dove passavano alcune linee di tram, andavo a scuola da sola, attraversando ben tre strade parallele, ma la mia mamma era tranquilla perché mi aveva insegnato come si fa ad attraversare la strada.
Era l’epoca in cui si beveva l’acqua del rubinetto, in cui la maestra aveva sempre ragione e a scuola si indossava il grembiule bianco con un grande fiocco azzurro, in cui la merenda era fatta di pane e burro (con un velo sottilissimo di marmellata), in casa non c’era il frigorifero e ogni tanto mi chiedo come facessimo a conservare i cibi, che non avevano neppure la data di scadenza (e quindi probabilmente non scadevano mai), in casa non c’era neppure la televisione e, una sera alla settimana, scendevamo al bar sotto casa per vedere “Lascia o Raddoppia”, era l’epoca in cui non mi annoiavo mai: dopo la scuola avevo i compiti e le lezioni, poi leggevo un libro, aiutavo la mamma in qualche faccenda domestica (per quanto riuscissi a farlo all’età di sette o otto anni), giocavo un po’ con le mie innumerevoli bambole, cenavo e andavo a dormire prestissimo, non frequentavo corsi di danza e di inglese, non praticavo sport, ma correvo veloce come il vento e mi arrampicavo su alberi e rocce (quando andavo in vacanza in montagna).
E’ incredibile, ma sono sopravvissuta a tutto questo (e non avevo neppure il cellulare)