Vieni, passeggia con me almeno
nella mia ultima poesia,
quella che ti dedicherò
come mio ultimo dono,
vieni, passeggia con me tra le righe
ogni riga sarà una via
un sentiero, il greto di un fiume
o la riva del mare
vieni, passeggia nelle mie emozioni
esse lasciano la scia come le lumache
passeggia con me ai bordi del mio cuore
sugli speroni aguzzi
della malinconica agonia
di un giorno che muore.
Vieni, corri con me incontro ai sogni
ai sogni ancora assonnati all’alba
incontro ai colori che non hanno dolore
vieni, passeggia con me in tutte le mie poesie
passeggia sulle note di una dolce e straziante melodia.
Vieni, o vai?
Dimmi almeno se passeggi nei miei sogni.
Mariagrazia Caglioti
Un invito. Una preghiera. Che diventano accorati, insistenti; passione bruciante, desiderio di condurre lontano. Una passeggiata, soltanto una passeggiata ma che porta nei posti più belli, più strani, più impensabili; perché la Poesia può farlo, e allora ciascuna parola di ciascun verso è un sentiero o il greto di un fiume o la riva del mare. Mariagrazia Caglioti rimarca e rimarca ancora, nei suoi versi, con il “vieni, passeggia con me”, una forza interiore che, a tratti, supera il desiderio e si libra leggera nei meandri dei sogni. E ai sogni vuole infine far giungere, portare, “ai sogni ancora assonnati all’alba”, meta che preclude e conclude, terra di un altrove che accoglie i senza – meta, gli erranti, chi ha fatto della propria vita un lottare ad armi spuntate per un qualcosa che non è mai qui. Forse il cuore ha sanguinato, forse sanguina ancora eppure non si arrende. Ha forse trovato nella Poesia o in un semplice scrivere versi la sua ragione di vita? O l’intuizione profonda di un ascolto per sè e per l’altro? Struggente il domandare finale: “Vieni, o vai?” Perché si può anche rinunciare a un sogno o ai sogni cui l’altro vuole portarti; senza capirlo, senza un motivo, per indifferenza o per troppa consapevolezza. E una specie di resa quantomai triste e un tantino velata di mestizia nell’illusione di una presenza, che passeggia almeno nei “propri” sogni.
Francesca Rita Rombolà