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passeggiate al chiuso (tra musica e cinema)

Creato il 14 agosto 2010 da Eratostene
Tra temporali e scrosci (quasi continui) di pioggia sono riuscito a fare qualcosa: ieri sera, prima edizione delle Passeggiate musicali. Festival internazionale di musica antica a Mergozzo: primo tempo con Ayako Matsunaga (violino) e Takashi Kaketa (violoncello) ad eseguire le sonate k 46d e 46e e il duo in do maggiore k 423 di Mozart (interessante, nonostante il fastidioso brusio del pubblico, quasi un basso continuo nella chiesa di santa Maria Assunta); secondo tempo con Avi Avital al mandolino - la vera scoperta della serata - che ha eseguito la terza partita in do maggiore di Filippo Sauli, un'eccellente trascrizione della ciaccona della seconda sonata in re minore per violino solo di Bach e tre travolgenti canzoni tradizionali sefardite (Etra la suerta, Como la rosa e Moranica); terzo con Alessandro Tampieri (violino barocco) e Giorgio Dellarole (fisarmonica '415') su musiche di compositori italiani di fine Cinquecento-inizio Seicento (Cima, Castello, Frescobaldi, Rognoni e Merula) decisamente noioso.
Oggi Locarno! Pietro (Italia 2010) di Daniele Gaglianone è un ottimo film: violenza genera violenza, che lo spettatore subisce sia quando è perpetrata ai danni del protagonista, sia quando è il ragazzo 'handicappato' (così si definisce egli stesso) ad esercitarla sugli altri. Ottimo l'uso dei suoni e del montaggio (ad esempio la scena sotto i portici di Torino con suonatore di fisarmonica), con gli stacchi al nero che corrispondono in situazioni differenti a quelli del sonoro. Storia scandita in brevi capitoli (che prendono il titolo da frasi pronunciate nel corso di essi), poi condensati e ripercorsi dal monologo finale di Pietro, che ha la medesima struttura impressionistica del film nel rievocare la propria nascita e passato scolastico. Le angherie inflittegli dai compagni, dal fratello (tossicomane) e dagli amici di questo nel corso di anni e serate al pub esplodono dopo il tentativo di violenza alla sua 'fidanzata': la redenzione non può fare parte di questo mondo di emarginati. Ciò nonostante (o proprio per questo), è un'opera di grande umanità.
A seguire il meraviglioso Ich will doch nur, dass ihr mich lieb (Germania 1976) di Rainer Werner Fassbinder, in versione restaurata: agghiacciante apologo sul rapporto genitori-figli unito all'idea capitalista "produci, consuma, crepa": tentativo (destinato alla catastrofe) di un muratore di farsi amare dalla propria famiglia e di essere degno della loro attenzione, anche a costo di una rovinosa gara di emulazione nel raggiungimento di uno standard altoborghese di benessere e comfort. Il (troppo) lavoro non nobilita, ma spersonalizza, mentre il modello di sociatà lo costringe subliminalmente a acquistare elettrodomestici per la moglie indebitandosi fino al collo. Lapidari i cartelli (che illustrano il rapporto genitori-figlio) e il titolo finale, quasi un cartello godardiano.

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