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Passera, il leader d’evasione

Creato il 09 luglio 2012 da Albertocapece

Passera, il leader d’evasioneAnna Lombroso per il Simplicissimus

Non vogliono rinunciare a Corrado Passera, i cattolici minacciati di essere politicamente “irrilevanti” nelle alchimie politiche del “dopo”. Ma rischiano di essere moralmente irrisori se alla ricerca di un volto e di un leader per il loro progetto politico sottovalutano la portata dell’indagine della Procura di Biella sulle operazioni con cui Intesa Sanpaolo, all’epoca guidata dall’attuale ministro dello Sviluppo, avrebbe “evaso” oltre un milione di tasse, così come gli opachi retroscena rivelati in questi giorni dal Fatto di una ipotesi di riciclaggio praticato dal ramo lussemburghese della banca.

Compiendo una spericolata acrobazia, per la quale gli equilibristi dei partiti sono attrezzati, Fioroni, da tempo suo fan entusiasta lo ha assolto preventivamente: quando uno è amministratore delegato di una grande impresa, ha sostenuto con piglio pragmatico, è responsabile di fatto perché firma il bilancio, ma è poi difficile stabilire responsabilità personali.
Povera Italia, sempre più povera di quattrini e di valori, se per un cortocircuito politico e mediatico quello che era riprovevole per Berlusconi diventa trascurabile per Monti o Passera. Non che la riprovazione abbia condotto a una soluzione forte: il vulnus che ha ferito irrimediabilmente la democrazia è stato lasciato a marcire e ha consolidato le basi della disinvolta indulgente “comprensione” di oggi. Che non sorprende in Fioroni ma nemmeno in quella vasta platea plaudente equipaggiata di una morale a intermittenza, come l’intelligenza.

È che la fine dell’era di Berlusconi, è stata salutata come la liberazione da un morbo, la guarigione repentina e miracolosa da una malattia mortale, rispetto alla quale qualsiasi condizione non può che essere preferibile e migliore. E così volenti e nolenti ci si ritrova prigionieri di un ceto di governo e di “opinione” irriducibile nella convinzione di potersi permettere tutto per quell’assenza di alternative che lo rende inattaccabile, non criticabile e quindi blindato. A dimostrazione che si è prodotto il berlusconismo senza Berlusconi – o con Berlusconi a latere, che i guasti che lui ha indotto restano in sospensione nel clima politico, culturale e morale, che le macerie di una democrazia sovvertita in una etica pubblica a rovescio, sostituita dall’interesse personale continuano a ingombrare il campo.
Si, restiamo prigionieri di quel blocco affaristico e clericale, si quella classe politica sempre più strutturata su una logica di ceto, sempre più separata da tutto quello che sta in basso nel paese, sia esso movimento, elettorato, società civile o cultura politica. Si, restiamo nell’incanto maligno di un racconto pubblico che ha sempre meno a che fare con la vita di ognuno di noi, che viaggia e si riproduce lungo il circuito che va dai media alla classe politica e dalla classe politica ai media e che ci indottrina ogni giorno con la sua retorica penitenziale su cosa è meglio, che cosa conta, che cosa deve essere assunto come fondamentale e utile, in quanto “profittevole”.

La democrazia è stata via via svuotata, prima dall’interno, senza un cambiamento formale delle regole, poi intervenendo sull’edificio di leggi e sulla carta, con le leggi ad personam, proposte e sostenute in nome di interessi generali: la “governabilità”, la privacy dei cittadini, la rapidità della giustizia, la razionalizzazione delle spese, la flessibilità, la modernità e infine la salvezza della patria. Anche i più ingenui hanno dovuto prendere atto che le difficoltà della democrazia non sono più interpretabili semplicemente alla stregua di “promesse non mantenute”, secondo una celebre espressione di Norberto Bobbio: non mantenute ma che rientrano pur sempre nell’orizzonte del possibile, secondo le categorie classiche della democrazia.

C’è chi parla di post-democrazia, Predrag Matvejevic ha coniato l’amaro neologismo “democratura”, che è la contrazione di democrazia e dittatura. Sono sintomi di un fenomeno nuovo: la convivenza di forme democratiche e sostanze non democratiche. Ovunque, le democrazie sono esposte a tendenze oligarchiche: concentrazione dei poteri, insofferenza verso i controlli, nascondimento del potere reale e rappresentazione pubblica di un potere fasullo, bene innestato su una concentrazione di egemonia economica e mediatica che l’espressione “conflitto di interessi” non registra., meglio sarebbe “sommatoria di interessi” che convergono in una concentrazione personale di gruppi, cricche, elite.
Ma sanno altrettanto bene che anche con una classe politica irreprensibile, non autoreferenziale, non asservita ad interessi privati, non arroccata in fortini corporativi e pieni di privilegi, non riusciremmo comunque a veder attuato, per esempio, lo splendore illuminato del secondo comma dell’ art.3 della nostra Costituzione: ” E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’ eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’ effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese “.

E non sarebbe così neppure se il sistema di selezione della classe politica dirigente fosse radicalmente trasformato ( con una nuova legge elettorale, con partiti rinnovati, con primarie ‘ istituzionalizzate’) o intervenissero le ventilate modifiche costituzionali che dovrebbero riguardare l’ Ordinamento della repubblica ed in particolare il numero dei parlamentari, le funzioni delle due Camere, il ruolo del Presidente della Repubblica e quello del Governo e, in particolare, il delicatissimo aspetto dell’autonomia della Magistratura. Anche se sono indispensabili e irrinunciabili.
Non basterebbe perchè ad originare l’ aperta e ripetuta violazione di quel secondo comma dell’art.3 non è l’aberrazione italica di un sistema ‘ istituzionale ‘ entrato in crisi, ma è la deriva liberista – in versione globalizzatrice e sregolata – del modello di sviluppo capitalista, quello che , da liberale e progressista , si è trasformato gradualmente in un sistema illiberale e fonte di terribili disuguaglianze.

In questa fase il conflitto di interesse ha raggiunto la sua iniqua perfezione: licenziamenti di massa ‘ senza giusta causa ‘ e senza articolo 18, delocalizzazioni, condanna a morte del centro storico dell’ Aquila e dei paesi dell’Emilia, aziendalizzazione e quindi sostanziale privatizzazione della Ricerca, dell’ Università e della Scuola, massacro del territorio, sulla prevenzione del cui dissesto idro-geologico non conviene mai intervenire in chiave preventiva. E insieme le retribuzioni faraoniche di alti funzionari dello Stato senza controllo sulla qualità del loro operato, colpevoli omissioni o dolose illegalità, alte consulenze di tecnici dei tecnici, tagli lineari al nostro futuro ma iniezioni alle banche, vigilanza sugli scontrini ma riottosa indifferenza a copertura delle grande evasioni, del riciclaggio, della corruzione.
All’indulgenza dei cattolici all’immorale ricerca del centro bisogna opporre il fronte laico di chi vuole smantellare le divinità del profitto, alla loro sregolata flessibilità bisogna contrapporre la fermezza delle leggi e dei diritti. Al susseguirsi delle oligarchie, becere e eversive, sobrie e sovversive, intente ai loro beni privati, bisogna sostituire la ritrovata sovranità dell’interesse generale.
Suscitando qualche inevitabile sorriso Passera è stato il primo a rivendicare, ad ognuna delle sue insulse misure di rattoppo e rammendo, che producono voragini sempre più profonde nelle finanze e nelle nostre garanzie, di “metterci la faccia”. Sarebbe ora di ricordargli che se mai l’ha avuta e ovunque l’abbia messa, l’ha persa definitivamente.


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