Al contrario di molti ragazzini di oggi non uso certo la suddetta frase per indicare quell'insieme di becero romanticismo-masochista-e-ciucciasangue che è Twilight. Toglietevelo dalla testa.
Direi che dopo questa piccola e doverosa premessa posso finalmente cominciare.
Oggi voglio presentarvi un estratto de L'Ultima Valle di Carlo Sgorlon; scrittore friulano, ahimè deceduto nel 2009, che ha passato una vita a scrivere romanzi riguardanti le storie più nascoste, magiche e tragiche della storia del Friuli Venezia Giulia (quindi più vicino a me di qualsiasi altro scrittore).
In questo romanzo Sgorlon ci porta a Cassiano, piccolo paesino in una valle che conta poche migliaia di abitanti e sperduta tra le montagne friulane.
A Cassiano la vita procede come al solito, immutata da tradizioni antiche di migliaia di anni, in cui i moti naturali continuano imperterriti a dettare la vita dell'essere umano, e intaccata solo dalle poche novità tecnologiche che sono riuscite ad arrivare fin lì.
Un bel giorno, però, delle macchine nere di lusso percorrono la piccola strada militare che attraversa la valle. Ha così inizio la fine per Cassiano, il giorno in cui l'Ingegnere decide che quella valle verrà chiusa da una diga e allagata da un lago artificiale.
Vi ricorda qualcosa questa storia?
«Stentai a riprendere sonno, mentre Caterina si era addormentata, e sentivo il suo russare sottile e uniforme, simile a quello di Pietro. Poi non ricordo più niente, finché non fui svegliato nel cuore della notte da un rombo assordante. Mille carri armati stavano attraversando la strada che aveva spianato la marcia del nostro destino. Un altro terremoto, dieci volte più spaventoso del primo? Era il rombo della diga che si spezzava? Poteva essere, le forze naturali non si lascia mettere in catene, era soltanto un'illusione dell'Ingegnere. Il boato potente, che era l'unione e la fusione di cento boati messi insieme, continuò e si avvicinò. Corsi alla finestra e vidi una cosa immensa, buia e altissima, che si stava avvicinando, un mostro sterminato che s'impennava contro il cielo per cento metri, con la cresta arrossata dalla luna. Un essere informe, mille volte più grande di una balena, si precipitava contro la diga ma anche contro di noi, risaliva la china e si scagliava sul villaggio e la nostra casa.
Un'ombra mastodontica, grande come una nuvola. Ma non era una nuvola, era un colpo di mare. In quella notte di portenti il mare s'era trasportato nella nostra valle, e un'ondata alta quanto nessuna era mai stata, in tutti i mari del mondo, e in tutti i maremoti di ogni tempo, si dirigeva verso di noi, un orcul in forma d'acqua e di ondata, che camminava da una montagna all'altra.»1
Possiamo tranquillamente affermare che L'Ultima Valle non è un semplice romanzo ispirato alla tragedia del Vajot. L'Ultima Valle è il Vajont (anche se debitamente romanzato).
La narrazione è qualcosa di sublime. La semplicità con la quale ci viene raccontata questa tragica storia riesce a trasportarci per le strade di Cassiano, facendoci dialogare con i personaggi e soprattutto facendoci respirare un'aria pregna di timori per quella maledetta diga e la voglia di continuare la propria vita, continuando a mantenere vive tradizioni millenarie che l'avvento della modernità sembra voler cancellare ad ogni costo dalla faccia della terra.
Chi è stato ai paesi di Erto e Casso, toccati dalla tragedia del Vajont del 1963, non potrà fare a meno di respirare la stessa atmosfera avvertita tra le case di pietra e le viette che formano i due paesi.
Un libro sublime per una storia che non è certo da dimenticare.
E.
1. Carlo Sgorlon, L'Ultima Valle, 1987, Arnoldo Mondadori Scuola. p.a., Milano, p. 291