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Passione, decrescita e autenticità: Intervista a Simone Perotti

Creato il 12 febbraio 2012 da Propostalavoro @propostalavoro

Passione, decrescita e autenticità: Intervista a Simone PerottiSimone Perotti. Inizia come precario, poi impiegato, quadro, infine dirigente. Una carriera nella comunicazione invidiabile per molti, quasi una chimera di questi tempi. Ad un certo punto, a quarantadue anni, decide di dire basta, lascia carriera soldi e tutto ciò che era stata la sua vita fino a quel momento e sceglie di dedicarsi in modo esclusivo e professionale a scrivere e navigare. Nel suo blog scrive: “Mi basta che oggi, ora, in ogni momento, nessuno abbia più l’autorità di chiamarmi al telefono e dirmi cosa devo fare. Nessuno. Tranne chi mi vuole bene, e per qualche ottima ragione”. Adesso vive con 800 euro al mese in una casetta di pietra che ha ristrutturato da sé, spende il necessario e coltiva il suo orto. Scrive e fa piccoli lavoretti per guadagnare ciò che gli serve.

Oggi, finalmente, ho il piacere di poterlo intervistare.

A: Ciao Simone, innanzitutto ti ringrazio per aver accettato di parlare della tua esperienza con noi. Prima di tutto vorrei che ci parlassi brevemente della tua vita come è adesso, come si svolgono le tue giornate…

S: Ciao Alessia. La mia vita è la stessa di prima. Sono un uomo, maschio, bianco, cittadino del Mediterraneo, nato senza volerlo, e morirò come tutti più o meno a novant’anni. Come vedi questo ero e questo sono rimasto. E’ cambiato il modo di passare il breve tempo di questo transito terrestre, che a noi pare lungo, infinito, e che invece è una breve raffica di brezza se paragonato all’eternità del tempo. Visto che il tempo è poco e non ritorna, mi sono messo a viverlo come meglio posso, che per me vuole dire studiare, scrivere, stare del tempo in solitudine, navigare. Il concetto-chiave è “per me”, perché ognuno ha (deve avere) la sua ricetta. Non ce n’è una valida per tutti. La mia “linea di minore resistenza” (Jack London) è scrivere e poi navigare. Io sono nato per fare questo. L’ho sempre sospettato, poi a un certo punto ne sono stato sicuro. E sono andato. Per questo morirò a novant’anni, non prima, dunque non era così terribile scegliere di vivere la mia vita.

A: La tua è stata una scelta molto coraggiosa. Se ti capita di mischiarti tra la gente, ti accorgi di quanto tutti si lamentano, sono insoddisfatti e cercano modi alternativi per vivere. Ho l’impressione però che la sola insoddisfazione non porti a compiere scelte come la tua, ci deve essere qualcosa di estremamente positivo che porta a trasformare la lamentela in azione, il sogno in realtà. Forse qualcosa che attiene all’animo umano. Trovi che sia così, quale pensi possa essere questa componente?

S: Il pragmatismo e la sincerità con se stessi. Quest’ultima serve a dirsi quale sia il sogno vero, autentico, non quello che viene dalla pubblicità, quello veramente adatto a noi. Sbagliarsi su questo sarebbe imperdonabile. Pensa fare una fatica nera per realizzare il proprio sogno e poi scoprire che era sbagliato…! Ma occorre anche molto pragmatismo. Un sogno da realizzare è già cambiamento, è già essere sul proprio sentiero, ed è una vicenda lunga, un viaggio che dura anni. Lungo quel viaggio occorre non disperdere energie. Io non potevo permettermelo, almeno. Quello che serviva, era utile, coadiuvava, andava fatto. Le cose che esulavano da questo percorso, anche belle e interessanti, andavano abbandonate. Questa è un’epoca difficile, dura, nessuno ti regala niente, dunque non ci si possono permettere sprechi d’energia o vie collaterali. Per chi vuole aprire un bed & breakfast non va bene fare un corso di tango Cosa interessa di più, aprire quell’attività o ballare il tango? Queste sono le domande che affollano la mente di una persona che stia cercando di realizzare un sogno.

A: Oltre che coraggiosa, la tua è stata una scelta estrema e radicale. Per come è adesso il sistema (penso alle conseguenze del capitalismo, alla promessa irrealizzata di un benessere diffuso), pensi che la decrescita sia l’unica alternativa possibile, appunto, una scelta così estrema e radicale?

S: Ci sono due considerazioni da fare: una individuale e una di sistema. Per quanto riguarda me, io dovevo decrescere. Se non l’avessi fatto non avrei saputo e potuto scrivere e navigare, sarei dovuto restare dov’ero, continuare a fare un bel lavoro, in una vita anche piacevole, ma privo della libertà di tentare la via dell’autenticità (che non è essere se stessi, ma somigliare ogni giorno un po’ di più all’idea che si ha di sé). La mia tattica era decrescere, consumare poco, vivere di poco, all’essenziale, riducendo i bisogni, annullando quelli fittizi, non facendomene crescere di nuovi, per dovermi dedicare poco al lavoro e dunque essere poco schiavo, più libero. Questo, mi sono accorto, era un sistema valido per me ma era uno schema ad alto impatto politico. C’era qualcosa di rivoltoso, se non di rivoluzionario, nel rinunciare a posto fisso, stipendio, tredicesima, note spese, agi, comfort per perseguire la libertà. Non solo. Da un punto di vista generale, dunque non più riferito solo a me come individuo ma alla società, al Paese, al pianeta, una scelta di decrescita collimava con alcune urgenze collettive, con l’impellente urgenza di interrompere il ciclo economico, industriale e del potere che presiede alla crescita ad oltranza, che sta avvelenando il pianeta e danneggiando gli esseri umani. L’ho scoperto dopo e ne sono stato felice. C’era qualcosa della mia scelta che poteva sembrare individualismo, e invece era la scelta più collettiva e più “sociale” possibile.

A: Appartengo ad una generazione alla quale hanno fatto credere che nella vita davvero potevi fare quello che volevi. Tutto questo non solo non si è dimostrato reale ma nemmeno lontanamente pensabile. Ecco, ora lo sappiamo e ne abbiamo preso atto. Pensi però che ci sia una strada alternativa per cui questa possibilità possa invece realizzarsi per le generazioni future?

S: Ci hanno inculcato quella storia scambiando l’ordine dei concetti. Teoricamente ci stavano parlando di felicità vera, di autentico benessere, mentre in realtà ci parlavano di agi e denaro. Quello che abbiamo finalmente scoperto oggi non è che il benessere economico non è più sostenibile, ma che quel benessere non era l’autentico-stare-bene. Io avevo lavoro e stipendio, secondo te se fosse stato così bastante al raggiungimento della felicità l’avrei lasciato? Quindi, per le generazioni future, il monito non è “occhio ragazzi che la pacchia del denaro per tutti è finita” ma “occhio ragazzi che a fare denaro e a comprarsi sempre l’ultimo modello di qualcosa di inutile non si va nella direzione giusta, perché per fare questo devi vendere tempo e anima, le due sole cose di valore che abbiamo”.

A: Downshifting, scalare marcia, decrescita. So che può sembrare una contraddizione in essere ma pensi che questi concetti possano applicarsi al mondo del lavoro? Intendo dire: pensi che per essere felici, facendo quello che si fa, l’unica scelta praticabile sia quella della decrescita? Oppure pensi che si possa conciliare il lavoro con uno stile di vita più sano, una vita soddisfacente, una maggiore libertà e un bel po’ di passione in quello che si fa?

S: Quello che hai appena descritto è il quesito a cui occorre dare risposta. I nostri intellettuali hanno mancato fin qui la loro missione storica. Perché non hanno riflettuto sulla società e non ci hanno messo in guardia (prima) e poi suggerito un sistema alternativo (poi)? Qualcuno ha ben tentato di farlo, sia nell’ambito del pensiero anarchico che in quello della sinistra anticapitalista (da Bianciardi a Pasolini etc) ma non sono stati ascoltati. Dagli anni Ottanta in avanti il frullatore ha sminuzzato tutto, il benessere e la crescita hanno digerito ogni pensiero, anestetizzato ogni tentativo. E così oggi per la prima volta nella storia dobbiamo cambiare senza sapere in che direzione. Dalla società rurale alla società industriale, dalla monarchia alla repubblica, avevamo sempre cambiato seguendo uno schema che gli intellettuali avevano prima teorizzato. Oggi non è così. Occorre trovare la risposta a questa domanda. La decrescita è una cultura che sta tentando di farlo. Occorrerebbe il contributo di tutti però. Dove sono i nostri intellettuali?

A: Per finire, una domanda un po’ meno impegnata. Ti chiedo quali sono i pensieri che occupano la tua mente al mattino, appena ti svegli e quali la sera prima di addormentarti.

S: Mi sveglio molto presto per scrivere, tutti i giorni, prima delle sei. Vivo con i miei personaggi, studio per descrivere le loro storie. Scrivo fino a mezzogiorno circa, poi lavoro nel bosco, spacco la legna, faccio lavori di recupero della mia vecchia casa, nel pomeriggio faccio le mie sculture con legni trovati sulla spiaggia e ardesia antica. Poi correggo quel che ho scritto la mattina, studio, pianifico le mie rotte in mare. La sera ripenso a tutto e  mi dico: “che gran bella giornata… Un’altra.”.

A: Grazie

S: Grazie a te.

Alessia Gervasi


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