E ancora sedani viola, uva all’anice, meloni a forma di banana e mele grandi come ciliegie. Non sono inquietanti mutazioni genetiche create da scienziati senza scrupoli ma frutti genuini della terra coltivati da secoli dagli agricoltori sparsi in giro per il mondo.
E’ la biodiversità che supera la fantasia in un’agricoltura in cui natura è sinonimo di varietà, mentre laboratorio è sinonimo di uniformità.
Le graziose vaschette piene di peperoni verdi, gialli e rossi che vediamo al supermercato, non ci dicono la verità. Si tratta sempre dello stesso prodotto, con il medesimo sapore e la medesima forma. E’ singolare tutto questo perché’ in Italia esistono molte varietà di peperoni, con forme diverse alcuni come sigari cubani, ma in commercio si trovano sempre e quasi solamente le stesse qualità, modificate in laboratori sterili.
Esiste un’associazione che si chiama “Civiltà contadina” che propone lo scambio diretto e gratuito di semi tra coltivatori attraverso la ricerca di varietà antiche, la loro coltivazione, la moltiplicazione in isolamento di semi su piccola scala da distribuire ad altri conservatori.
Il problema di chi lavora la terra puntando su prodotti autoctoni è non trovare sbocchi commerciali. Il coltivatore è costretto a seminare quello che la grande distribuzione gli compra, da qui la necessità di compare semi anziché produrli da sé, semi per di più sterili e quindi, l’anno dopo, rappresentano una nuova spesa pari al 15-20% dei costi aziendali.
I coltivatori sono oggi dipendenti dalle coltivazioni ibride ortive e floreali controllate dalla grandi aziende e che devono essere riacquistate ogni anno a un costo ulteriore per il coltivatore. Il contadino coltivatore, in questa veste, fa solo l’operaio agricolo.
Qualche esempio per capire bene quello che sta succedendo: solo in Italia, delle ventisette varietà di cocomeri riportate nei cataloghi delle ditte sementiere italiane, prima degli anni ’50 , non ne è rimasta in circolazione nessuna.
Già, perché tra le questioni fondamentali nell’analisi dei fenomeno dell’estinzione di varietà di frutta e verdura c’è anche e soprattutto la necessità della grande distribuzione di avere a disposizione prodotti “pesanti” con grammatura e forma uniforme che maturino nello stesso momento.
Tra la raccolta in campo, lo stoccaggio e la messa nello scaffale, il più delle volte passano decine di giorni. Anche 30-60 giorni, e questo è possibile solo a condizioni che il parkaging sia ottimizzato al massimo e gli urti non rovinino il prodotto.
Da qui anche l’utilizzo artificiale di cellulosa che rallenta il processo di maturazione del prodotto, in quantità molto superiori a quanto previsto dalla natura.
Un’altra difficoltà che oggi incontrano gli agricoltori è quella della mancanza di disponibilità di semi, oltre a quelli autoprodotti, per la mancanza in Italia di aziende etiche con prezzi realistici.
In questo senso, la libera circolazione dei semi consente l’autosufficienza soprattutto in un mercato in cui, le multinazionali più forti stanno registrando brevetti su brevetti. Il produttore diventa quasi un antagonista per la grande distribuzione che invece ragiona in termini di profitto ricavabile dalla vendita di grandi volumi.
L’utilizzo delle macchine ha reso la raccolta più facile e il lavoro meno gravoso, ma per sfruttarle al meglio è stato indispensabile spostare le coltivazioni in ambienti che consentissero di fare alle trebbiatrici il loro lavoro senza intoppi: ecco perché in collina o in mezza montagna, a parte gli ulivi, non si coltiva praticamente più niente.
E ciò ha contribuito a provocare la perdita di centinaia di varietà.
Solo qualche contadino “coraggioso” ha continuato a portare avanti, nonostante tutto, le sue bellissime qualità frutticole e ortive, più che altro per la soddisfazione di vederle e di assaporarle “in famiglia”.
Ogni regione storicamente ha potuto contare sui prodotti cereali e ortaggi tipici , selezionati per dare il maggior risultato possibile su quel determinato tipo di terreno e in quelle condizioni climatiche.
Le varietà nate in laboratorio necessitano di antiparassitari e concimi chimici che, oltre ai dubbi sulla qualità di ciò che mangiamo, rappresentano una certezza in termini di costi continui per gli agricoltori.
Il raccolto ibridato artificialmente è puntuale per i tempi di raccolta, cresce molto ordinato con le stesse dimensioni ed è produttivo. Ma richiede l’utilizzo di fertilizzanti e pesticidi. La biodiversità in agricoltura non si improvvisa: è il lavoro incessante di generazioni di agricoltori anonimi.
(Dalla rivista: Vivere)